Il sapore del sangue di Gianni Biondillo fotografa Milano prima dell’Expo e, soprattutto, dopo, con le trasformazioni che hanno segnato la città. Leggere Biondillo è sempre un far pace con Milano, una città che si lascia amare solo se si decide di guardala da sotto “la sottana”, come cantavano Cochi e Renato.
Geografia del desiderio
Leggere Biondillo vuol dire sempre scoprire parti di sé che pensavi fossero intimissime ed invece sono alla mercé di tutti. Il deserto interiore è sotto gli occhi di tutti, questo per chi legge a Milano, ma non solo, Biondillo.
Sarebbe pleonastico discutere di quanto sia importante la geografia in un romanzo, sia essa totalmente inventata o ancorata al cemento delle strade che si vogliono raccontare. Abbiamo romanzieri che hanno inventato strade, tra l’altro proprio a Milano con Buzzati e la sua via Saterna, e scrittori che ci hanno raccontato strade e bar facendoci da guida turistica, come ad esempio Izzo con la sua generosa Marsiglia.
Per Biondillo però è differente, la sua è una geografia che si è stratificata con la sociologia e la storia, con la vita politica ed economica di una città che traina per economia e gusto l’intero paese. La geografia di Biondillo in altri tempi si sarebbe chiamata una “geografia del desiderio”, al contrario di quella aerea, la sua è uno studio dello spazio che parte dal basso e si alza fino ai grattacieli.
Di una Milano così forte e compatta di cosa vuoi raccontare? Non sono pochi i non milanesi che arrivano e raccontano la città conoscendola poco ma vedendola attraverso i suoi simboli: qualcuno con grande merito (vedi un certo Bianciardi nella meravigliosa Vita Agra); qualcuno cadendo nel cliché dei Navigli bohémien e della Brera magica; qualcun altro conosce la città e la racconta in maniera precisa e puntuale, raccontandone anche vizi nascosti dietro le luci colorate degli addobbi natalizi.
Milano ha avuto grandi cantori, a partire da Scerbanenco, il più grande di tutti, sino ad arrivare ai più giovani come Luigi Vergallo, che in questi anni sta pubblicando titoli di grande pregio partendo da una narrazione della città meno visibile (anche in pieno centro). In mezzo grandissimi autori come Piero Colaprico che, tra la altre cose, ha inventato il termine “Mani pulite” per i casi giudiziari accaduti tra il 1992 e il 1994.
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In questo contesto di grande giallo, di grande noir meneghino, Gianni Biondillo si staglia per praticità e prosaicità. Il suo investigatore Ferraro è un disilluso servitore dello Stato che guarda la città nei suoi cambiamenti che, ahimè, sono ben al di sotto degli scatti di anzianità del suo stipendio. Ferraro non è fashion e non fa commenti morali, svolge il suo lavoro silenzioso, dedicandosi alle riflessioni durante qualche viaggio in treno ma annoverando il tutto come una forma di “soprappensiero”.
Nei romanzi di Biondillo non ci sono commenti morali o giudizi, però ci sono annotazioni e didascalie che fotografano una realtà meglio di una telecamera di Google Maps.
Ne Il sapore del sangue, la storia e la vita della città si mescolano a tre livelli tra passato, futuro e attualità.
Una storia che parte da lontano, dagli anni Settanta, quando Quarto Oggiaro da città prototipo di accoglienza si trasformò in un quartiere rifugio di immigrati provenienti dal sud Italia senza grandi possibilità economiche. Qui nasce la storia di Sasà, protagonista de Il sapore del sangue, ragazzo cresciuto da genitori onesti ma che non capivano il suo incredibile talento per il crimine.
Noi conosceremo la storia di Sasà attraverso un flash-Bach straordinario, perché lui ci racconterà nelle prime cinquanta pagine una città irriconoscibile dopo l’evento di cui tutti parlavano mentre lui era in carcere: Expo 2015. In questa città dal volto cambiato, Sasà riproverà l’ennesima fuga dalla via del crimine, ma il passato, quello nascosto dietro i bar cinesi, non lo lascerà fuggire così in fretta. L’investigatore Ferraro nel frattempo si muoverà sui suoi passi, scoprendo di conoscere il passato e, a volte il caso, anche un pò il futuro di questo ex ragazzo dalla faccia d’angelo.
Milano è fotografa prima dell’Expo e, soprattutto, dopo, con le trasformazioni che hanno segnato nella città l’arrivo di nuove linee metropolitane e nuovi quartieri.
Ho apprezzato molto, da milanese, il racconto di NoLo, di cui grazie a Biondillo ho scoperto l’acronimo (Nord Loreto), quartiere che sta rivalutando una zona decadente della città che lentamente si sta trasformando in un quartiere aperto e di sperimentazione sociale, pur con qualche fighettismo di troppo.
Leggere Biondillo è sempre un far pace con Milano, una città che si lascia amare solo se si decide di guardala da sotto “la sottana”, come cantavano Cochi e Renato.
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