copertina il cinghiale che uccise Liberty valance

Il cinghiale che uccise Liberty Valance – Giordano Meacci

Wittgenstein diceva che se avessimo visto il mondo con gli occhi di un leone avremmo capito la sua lingua. L’esperimento mentale era divertente ma ovviamente altamente improbabile. Il fascino però di sapere cosa sono i nostri luoghi e le nostre vite senza di noi è una delle ossessioni più ricorrenti nella letteratura occidentale da Ovidio fino a “Come mi vedono gli altri” canzone filosofica e geniale di Luigi Tenco. Perciò se un folletto o uno spirito potesse mostrarci con una telecamera casa nostra, la nostra città o i nostri amici scopriremmo sicuramente un altro livello di realtà in grado probabilmente di sorprenderci grandemente.

 

Un esperimento simile lo compie Giordano Meacci nel suo splendido “Il Cinghiale che uccise Liberty Valance” uscito lo scorso anno per Minimum Fax, libro che ha raccolto un importante successo di critica e vendita (per fortuna). L’esperimento di Meacci è travolgente e compiuto con grande maestria: raccontarci la vita di Corsignano vista e spiegata dal punto di vista di un cinghiale. Il cinghiale per la precisione è Appelbohr, ovvero un fuori uscito dal branco che ha un illuminazione che lo guida verso la ricerca e la scoperta del mondo al di là della sua forma naturale manifestatesi come suino selvatico.

Appelbohr ci guida alla scoperta di un paese immaginario in cui però tutto ricorda esattamente quegli splendidi paesini fatti da lastroni di pietra, fontanelle di acqua ghiacciata e chiese antiche che troviamo da tra la Porretana e l’Umbria. Così le vicende che accadono fra il 1999 e il 2000 a Corsignano hanno la magia  e la purezza di un San Francesco incantato nel narrare la prosaicità umana e l’ironia grottesca di un fumetto punk al netto di ogni fronzolo di genere.

Mentre scopriamo la città, le storie e la vita di Corsignano scopriamo anche una riflessione sul linguaggio, sulla sua presunta naturalezza che in realtà non è tale ma bensì costruita ad hoc dagli esseri umani per gli esseri umani. Appelbohr infatti parla il cinghialese e nel suo modo di esprimersi conta molto il modo di vedere il mondo dal suo particolare punto di vista (gli uomini sono gli “Alti sulle Zampe”), appunto come dicevamo all’inizio dell’articolo. Splendida idea quella di Meacci di creare in fondo al libro un piccolo dizionario Italiano-Cinghialese in grado di regalarci, se possibile, ancora un attimo di magia dopo aver letto questo libro sorprendente. Al di là di quello che potrebbe (ingiustamente) apparire come un fuoco d’artificio per appannare la vista, il punto di vista di Appelbohr non solo ci regala una visione ribaltata del mondo, ma soprattutto momenti altissimi di poesia in cui la vita è colta nel suo momento più primitivo e la magia dei simboli ci è donata intatta dai canti dei mistici del Medioevo che contemplavano l’universo proprio sugli stessi monti del nostro cinghiale-filosofo. Ci si può commuovere per le parole di un cinghiale? Meacci è riuscito a creare a un romanzo che ci emoziona e ci fa scoprire una narrazione del senso di mistico meno violento e più ironico? Beh non fidatevi delle critiche, neanche dei miei pensieri, leggete questo libro e poi giudicate da soli, io per parte mia vi assicuro che non rimarrete delusi.

Vi lascio con una frase in cinghialese (non è la chiusura del libro, niente spoiler)  che sembra uscita da una ballata di De André: “Così sarebbe questa la morte amico mio?”.

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Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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