Cos'hai nel sangue - Gaia Giovagnoli

Cos’hai nel sangue – Gaia Giovagnoli

Cos’hai nel sangue di Gaia Giovagnoli è un esordio interessante, capace di creare un’atmosfera inquietante, tra luoghi che inquietanti lo sono per conformazione e sedimenti psichici inalati con inquietudine inesplicabile. Un meccanismo narrativo che scorre con libertà lungo la linea temporale e lascia che sia la sospensione a incalzare il lettore, aggrovigliando i sentieri della vita fino a nodi inestricabili.

Cos’hai nel sangue di Gaia Giovagnoli

Esordio interessante questo di Gaia Giovagnoli, capace di creare un’atmosfera inquietante, tra luoghi che inquietanti lo sono per conformazione e sedimenti psichici inalati con inquietudine inesplicabile. Un meccanismo narrativo che scorre con libertà lungo la linea temporale e lascia che sia la sospensione a incalzare il lettore, aggrovigliando i sentieri della vita fino a nodi inestricabili.

La prosa si muove nervosa tra passato, presente e suggestioni di futuro, in una sovrapposizione che sfalsa la direttrice quantitativa e incespica con intenzione nello sviluppo qualitativo. Così come sono confusi i piani del sogno, dell’immaginazione e della realtà, fino a imporre una contiguità vorticosa che confonde il senso del vissuto, mischiando piuttosto che separare, richiamando invece di escludere.

Giovagnoli ci conduce nell’angosciosa storia di Caterina, del suo rapporto conflittuale con la madre e dell’inaspettata visita dell’antropologo Spina che sarà portatore della chiave di svolta. Caterina verrà a sapere del passato ricco di ombre della madre, della sua giovinezza vissuta a Coragrotta, luogo misterioso in cui la narratrice si reca per chiudere i conti, forse, anche se dipende da come i conti li si fanno tornare.

Madre e figlia

Il modo di volermi bene della mamma è stato così simile a una stanza piena di vento. Le porte che sbattono, le finestre spalancate, che franano a terra. Ora me ne rendo conto.
E io che ho creduto che la casa stessa fosse il pericolo. E io che ho provato a demolirla a ogni costo. L’ho disprezzata, perché sentivo solo il male che mi faceva.
Ma non è vero che la odio: non è vero. Ho sempre saputo che quel disastro di vetro, quella confusione sugli stipiti, era il suo modo di proteggermi. L’unico che aveva imparato.
Mi ci sono aggrappata, a quel male che mi ha fatto. L’ho cercato, ancora e ancora, quel nostro modo violento di volerci bene.
Era tutto quello che avevamo.
Tutto quello che ho voluto.

Cos'hai nel sangue

Il rapporto tra madre e figlia è il nodo principale di questo testo. Un rapporto conflittuale che non riesce a trovare sbocchi riconciliatori, una quotidianità puntellata da incomprensioni che scartano di lato quando sembra che una piega si distenda. Tutto vissuto con intensità, violenza, sia di passioni che fisica, un corpo a corpo senza tregua che sfinisce senza finire, una lotta perenne che occupa qualsiasi spazio e tempo delle loro vite.

Poi Caterina, andando a Coragrotta, scopre via via la storia della madre, scoperchia ciò che aveva percepito per altre vie meno coscienti e allora tutto assume un senso. Ma non è un senso liberatorio, la conoscenza del passato non appiana del tutto il presente, tanto meno il futuro, permette solo una comprensione ritardataria. Il tempo si accavalla, gli atteggiamenti passati della madre perdono l’alone di assurdo, ma il passato non si è concluso, perché il presente della madre ne è ancora permeato e il futuro della figlia non può restarne immune.

E così Caterina, nome di santa e di strega, scopre cos’ha nel sangue e quello che scopre non può rimanere latente. Le scelte della narratrice trovano nuove catene che affondano le radici nel passato, la sola differenza con le catene precedenti della madre da cui ha cercato di liberarsi è che ora sa a cosa la legano, hanno una chiarezza che non libera dal dolore. Caterina fa parte di una storia più grande di lei, non può considerarsi libera dal passato e, di conseguenza, non ha libertà del futuro, la sua personalità è stata dettata da questo passato tramite la madre, pure lei ancorata al passato senza volerlo, e non si tratta di coerenza, ma di legami più forti del singolo.

Non c’è fatalità in questo romanzo, c’è il peso della storia, in questo caso di famiglia e più in grande di comunità, che deve essere portato, di cui non si può fare a meno e che proietta le proprie ombre. Caterina non è predeterminata, ma fa parte di una sequenza di associazioni non libere.

Coragrotta

Questo passato che torna si svolge a Coragrotta, comune misterioso circondato dai boschi, anzi immerso nei boschi, anzi parte stessa dei boschi, esso stesso bosco. Giovagnoli dipinge a tinte fosche questo luogo immerso nell’ombra in cui le luci giocano a nascondersi, riuscendo a restituirne il mistero che suggestiona chi ci vive e chi ci capita. Scenario perfetto per la dinamica tra scoperta e incantamento, portata avanti nel testo anche attraverso le pagine di diario e le registrazioni di Spina, un meccanismo che coinvolge sia la protagonista che il lettore.

A Coragrotta si è sviluppata una comunità matriarcale, in cui le donne ricordano le streghe e gli uomini sono utili idioti. La natura è parte integrante tramite il bosco e i lupi (particolari) che ospita, come da tipico immaginario, ma non per questo meno efficace, anzi calzante nel suo immediato richiamo. La comunità ha stabilito meccanismi che vengono reiterati da chissà quanto tempo e sono proprio questi, diventati tradizione, a segnare le persone, a disegnarne i ruoli: ancora una volta il passato che turba il presente e il futuro, in questo caso palesemente a livello comunitario ancor prima che individuale.

Coragrotta lega i paesani, detta le identità, assume pregiudizi richiamandosi ad un passato che non può trovare altre soluzioni. Così tutto si interseca: la storia personale di Caterina e della madre con quella di Coragrotta, i sogni e le suggestioni del presente con le scorie del bosco e delle streghe, i vivi con i morti, il culto dei morti con la mortificazione, i timori con le predizioni, i legami con i conflitti, le soluzioni con le cause. E l’autrice è abile nel tenere tutto unito, sia nella trama che nella parola, sapendo sia alludere che concretizzare.

Gaia Giovagnoli – Cos’hai nel sangueNottetempo

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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