Tatiana ha tredici anni. Mangia ciambelle.
Al mattino, per colazione. Latte caffè e ciambelle.
A metà mattina, per merenda. Ciambella e una banana.
Al pomeriggio, per merenda. Ciambella e nutella.
La madre si sente impotente. La guarda, a volte, quando in silenzio scende in cucina, apre la credenza, prende le sue ciambelle e torna nella sua stanza.
Ne ha parlato con qualche amica.
«Ma non è niente, cosa vuoi che sia? È l’età delle paturnie, dei filarini che non ti filano. O qualche insegnante che non la valorizza adeguatamente. Passerà, vedrai».
«Ma non credi che dovrei portarla da un medico, da uno psicologo, magari».
«E per cosa? Per metterle in testa che ha davvero qualche problema serio? Quelli sono così, scavano scavano e poi tirano fuori qualche problema che non c’è. Distraila, portala a fare shopping. Alla sua età vanno pazze per lo shopping».
Il giorno dopo l’incontro con le amiche ci ha provato.
Era davanti la dispensa, una mano già sulla scatola delle ciambelle.
«Che ne dici se usciamo un po’? Manola mi ha detto che al nuovo centro commerciale c’è di tutto. Ne approfitterei per dare un’occhiata ai nuovi arrivi, mi serve qualche paio di scarpe e un completo nuovo per l’ufficio. Tu nel frattempo…»
Non le lascia finire la frase.
«No». E se ne va di sopra.
È sconsolata di non poter far nulla. Cerca di ripensare a quando aveva la sua stessa età.
Era una ragazzina allegra, sempre piena di idee e di voglia di vivere. E con tanti amici.
Non viveva in una villa a due piani, non aveva la madre che l’invitava a uscire per fare shopping. Non sapeva proprio cosa fosse, lo shopping, sua madre. Con lo stipendio da impiegato del padre e quattro figli da crescere, difficile pensare allo shopping.
L’arte di arrangiarsi. In quella era davvero esperta. Così una maglietta anonima diventava unica, con il ricamo di Snoopy che ci aveva applicato. Magari è questo. Pensa. Magari è annoiata, perché ha un tenore di vita altissimo: non le manca nulla delle ultime novità tecnologiche. Ha una stanza di venti metri quadri tutta per sé. A scuola ci arriva sul Suv del padre o sulla sua Mercedes. In casa circola una donna dalle sette alle cinque che ordina, pulisce e cucina. Sulla scheda personale della scuola alla voce occupazione dei genitori c’è scritto padre avvocato, madre dirigente regionale.
Allora perché? Vorrebbe chiederglielo ogni tanto: perché? Ma conosce già la risposta. Abbasserebbe gli occhi e mangerebbe la sua ciambella.
Le diceva: perché non esci con le amiche? Rossella ha telefonato due volte. Dice che ti ha chiamato e non hai risposto. Perché non la richiami?
Tatiana abbassava gli occhi. E mangiava la sua ciambella.
Si aggrappava alle sue ciambelle. Erano il suo salvagente. Questo lo aveva capito, la madre. Era il perché, che non capiva.
Il sabato sera è quasi sempre serata di incontri. Hanno tanti amici che hanno anche loro delle figlie. Ma Tatiana non le degna. Prende le sue ciambelle prima che arrivino. Se ne va in camera e chiude a chiave. Scrive su un quaderno con la copertina rossa. Pagine su pagine di parole, di disegni che emanano solo paura, di simboli nefasti, di colori scuri.
Lo tiene nascosto in bella vista tra i libri, sulla mensola. Lo sa che a nessuno verrà in mente di ficcare il naso. Quel quaderno sa il perché. A lui l’ha detto.
Un sabato come tanti. Il padre in giardino, a controllare se le sue rose preziose e rare stiano sbocciando. È ancora in vestaglia, ma lei non ci fa caso. Il sabato mattina è l’unico momento di totale relax. La donna il sabato non c’è, e lui si sente libero di girare per casa in vestaglia e boxer. La madre è pronta per uscire.
«Vado a ordinare un po’ di roba». Le dice mentre sta scendendo dalle scale.
«Compra le ciambelle. Sono finite».
Sui tre scalini che collegano la casa al garage si ferma a pensare.
A Tatiana. Alle ciambelle. Al marito.
C’avrà qualcuna. Sta pensando. Sono mesi che…
Il beep del telecomando che apre le portiere e accende il quadro, all’improvviso si trasforma in un pensiero che corre. Corre così veloce che due minuti dopo è costretta a fermarsi appena svoltato l’angolo. Quel ronzio, quelle parole sussurrate da una voce malevola che hanno su di lei l’effetto di un terremoto.
È un pensiero scollegato. Un suggerimento indegno. Il frutto di una mente perversa. Che c’entra il marito con le ciambelle?
Piccoli flashback. Quella breve scintilla negli occhi di lui, colta nell’attimo in cui al telegiornale danno una notizia schifosa: un padre che ha abusato delle due figlie. Quella smorfia che non è di dolore. O di riprovazione. È proprio sussiego, soddisfazione, appagamento. Rivede la vestaglia azzurra lasciata appena aperta a scoprire i boxer in tinta e quello che contengono, mentre lo sguardo sta andando dritto alla finestra di Tatiana e le sta facendo un cenno, una specie di “ci vediamo tra poco”. Nemmeno lei sa perché ha registrato quelle immagini e le ha archiviate. Quante volte? Troppe, probabilmente.
Il cuore accelera forte. Sta per fare manovra. Deve tornare a casa, di corsa, ora, subito. E farla finita.
Al diavolo le convenzioni, al diavolo la villa, il lusso, la donna di servizio. La mia bambina. La mia bambina.
Ma poi si ricorda che le ha detto che le ciambelle sono finite.
Deve andare. Tatiana non può vivere senza ciambelle.