Il 22 novembre 2020, in Portogallo, si è chiuso un capitolo importante per noi italiani: Andrea Dovizioso ha disputato la sua ultima gara in sella alla Ducati Desmosedici GP, che viene prodotta nella fabbrica di Borgo Panigale, e il binomio romagnolo giungeva così al capolinea.
La collaborazione tra le due parti è durata otto anni e quello tra “DesmoDovi” e la Ducati è stato un matrimonio nettamente in crescendo. Dal primo podio insieme, a cui è seguita la prima vittoria fino ad arrivare al triennio d’oro in cui l’unico a fare meglio del forlivese è stato solo il “marziano Marc Marquez”. Tre anni, dal canto mio, meravigliosi, due dei quali ho anche scommesso una somma irrisoria, sul loro successo, perché ci credevo, mi avevano convinto, lui e la Ducati, che ce l’avrebbero potuta fare. Anche contro un impeccabile Marquez, sì, mi sembrava tutto sommato possibile.
Soprattutto in quegli anni si sono concentrate le emozioni più intense, più belle, Andrea aveva una bella luce negli occhi, sul suo viso c’era il più delle volte il sorriso, sembrava quasi spensierato, ma sul pezzo e pronto a dare battaglia.
Tutto il contrario di quello che si è visto in questo 2020. Quando il Dovi annaspava alla guida di una moto che magicamente non era più quella dell’anno prima, diventava autore di qualifiche disastrose, con gesti di stizza annessi non comuni per la sua persona. E soprattutto mancava il sorriso, la serenità nei suoi occhi – vuoi per un motivo, vuoi per un altro – a dimostrazione del difficile momento che stava vivendo. E mi dispiace proprio che forse la sua ultima stagione, non se la sia potuta godere davvero, alla guida di una moto che non ha sentito sua al 100%. Mi dispiace che non ci abbia potuto emozionare come gli anni precedenti con quei sorpassi da precisione chirurgica all’ultima curva per la vittoria. Nella mia memoria ne resteranno impressi due: Austria 2019 e Motegi 2017, quest’ultimo sul bagnato. Se non ve li ricordate andate a rivederveli, ne vale davvero la pena!
Personalmente il suo personaggio mi è sempre piaciuto. Sempre così misurato nelle parole, un po’ timido davanti alle telecamere, ma una persona tutta di un pezzo, concreta, seria, responsabile e circondato dai suoi amici di sempre. Ricordo ancora perfettamente la prima volta che l’ho intervistato, era il 2013, e mentre salivo i gradini dell’hospitality Ducati non ero ancora consapevole che da lì a pochi minuti me lo sarei trovato davanti e avrei potuto parlarci. A quella, fortunatamente, ne sono seguite molte, molte altre e tutte mi hanno confermato l’immagine che avevo di lui. Ricordo con particolare emozione quando in Austria, nel 2017, gli ho potuto fare i complimenti personalmente, ricordo con un sorriso e ancora un lieve imbarazzo la mia prima (e finora unica) gaffe che ho fatto con lui, storpiando il suo cognome mentre lo intervistavo per la televisione svizzera, e ricordo anche la sua risata alla gaffe che riuscì a mettermi assolutamente a mio agio. Ricordo bene come si illuminano i suoi occhi ogni volta che parla della figlia Sara e ricordo nitidamente quello che mi disse quando gli chiesi di parlarmi di Nicky Hayden, l’anno della sua scomparsa. Tutti dettagli, emozioni, sguardi e parole che conserverò gelosamente.
Se quella del Portogallo sarà davvero la sua ultima gara in carriera in MotoGP, devo ammettere che la ricorderò un po’ con amarezza. Speravo per lui in un finale migliore, con un’uscita di scena degna del suo non-personaggio e del suo immenso talento. È mancato il titolo mondiale con Ducati, ma ha fatto comunque qualcosa di straordinario e a tratti anche impensabile in tutti questi anni, tirando fuori una grinta e una determinazione da vero Campione.
Per questo, e per tutto il resto #GrazieDovi! Ci mancherai.