Teneri Violenti – Intervista a Ivan Carozzi

Ivan Carozzi ci racconta il suo Teneri Violenti,  precarietà e ideali frustrati. (clicca qui per leggere la nostra recensione)

Nella storia che racconti si percepisce un forte scollamento tra il sogno televisivo e la realtà quotidiana dei lavoratori delle redazioni. Si evince dal romanzo che non ha molto senso parlare di “classe” quindi come li definiresti questi lavoratori? Hanno la sensazione di essere un gruppo? Si tratta di individui collegati da sentimenti di simpatia, diciamo, da una precaria e volatile amicizia, incidentalmente legati per ragioni di natura professionale e poi scollegati al termine del rapporto di lavoro, al quale segue o meno un nuovo rapporto di lavoro, in un nuovo contesto, che collega e scollega ciascuno di essi con nuovo gruppo di persone, dalle quali poi si allontaneranno al termine del contratto. E così via. Naturalmente non possono formare una classe, perché sono – come si dice ormai proverbialmente – troppo ‘liquidi’ per formare un insieme definito e omogeneo.

La solitudine del protagonista è resa molto bene oltre che in altre parti del libro anche nella scena del ritrovo fra ex colleghi. Il lavoro a termine quindi incide sui rapporti fra persone quindi? Certo.

Michel Houellebecq dice che gli psicologi hanno ucciso la tragedia, potremmo aggiungere che anche Tinder ha fatto la sua parte? Non saprei dirti visto che non ho mai usato Tinder. Non mi attira. Poi magari un giorno lo userò e scoprirò che può essere divertente, ma diciamo che dovrei impormi di provarlo, visto che non mi accende nessuna fantasia. Considero già molto respingenti le foto profilo su Facebook. Anche il suono, ‘T-i-n-d-e-r’, mi deprime, ma il suono dei brand in generale mi annoia. Il mio orecchio è duro, irriformabile.

Nel  romanzo si ha la sensazione che tu guardi alle emozioni eclatanti delle storie pescate dal passato con una certa malinconia, penso alla vicenda di Pascal, rispetto ai rapporti contemporanei amministrati con grande freddezza. C’è effettivamente un paragone? In realtà non era mia intenzione istituire dei paragoni tra passato e presente, cosa che troverei abbastanza insensata.

In passato grandi autori hanno raccontato la cosiddetta industria culturale facendone parte, Pasolini, Bianciardi, Flaiano su tutti. Ci sono solo differenze o anche similitudini nel rapporto fra un intellettuale e il lavoro in televisione, al cinema o nell’editoria rispetto al passato? Rispetto a un tempo si guadagna molto, molto meno. Trattandosi di settori in crisi, specie per quanto riguarda il libro e la stampa, credo ci siano molto sbando e disperazione: nel tentativo di restare a galla, di trovare una sostenibilità, magari vengono meno le vere spinte che dovrebbero animare le imprese che si occupano d’idee, di cultura, di proposta, di creazione e d’immaginazione. Che poi sono quelle spinte che, all’inizio dei rispettivi percorsi professionali, hanno costituito la ragione ideale e sentimentale di chi oggi lavora in quel settore, generando così adulti frustrati e cinici. Non giudico, ma osservo con pietas e comprensione chi lavora in questo settore così delicato e in una fase tanto critica.

La storia d’amore che racconti ad un certo punto vive una pornografia più ostentata che reale, se è così è perché il mondo dei social ha cambiate le regole della comunicazione anche nei rapporti di coppia? Non userei la parola ‘pornografia’. Se ti riferisci a certa scurrilità che può venire fuori usando WhatsApp, all’invio di foto con pezzi di corpo ecc, lo trovo semmai un gioco molto divertente. Ma non vorrei usare la parola ‘gioco’, come dicevano Schicchi e Cicciolina. Lo trovo una forma, un modo di parlarsi tra due persone che si piacciono, molto divertente ed elettrico. Dai, ‘gioco’ va bene.

Che libro hai sul comodino? Sto finendo “California dreamin’”, una stupenda biografia a fumetti di Cass Elliott dei Mamas and Papas che uscirà a fine marzo per BAO. Poi mi aspettano “Il teatro della memoria” di Leonardo Sciascia, dato che ho preso una sbandata per la storia, che non conoscevo, dello Smemorato di Collegno; e infine un libro Adelphi degli anni ’70 nella sua edizione originale, “Il catechismo del rivoluzionario”, nel quale si racconta l’incontro tra Bakunin e un certo Nečaev, diventato poi un caso di studio e un paradigma dello scontro tra mentalità rivoluzionaria e mentalità riformista.

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Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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