Valentina Maini e Claudia Petrucci al di là di La mischia e L’esercizio
Sia de La mischia di Valentina Maini (leggi la recensione) che de L’esercizio di Claudia Petrucci (leggi la recensione) ho già scritto le rispettive recensioni, anche se in realtà tendo a vederli come resoconti di lettura, ma non mi metterò ora a questionare sui nomi delle cose. Per altro ho pubblicato resoconti di lettura che si sono concretizzati in lodi sperticate, d’altronde quando mi coglie l’entusiasmo, e non pensiate che succeda troppo spesso, ammeto di farmi prendere leggermente la mano. Ma che diavolo, dovrò mica scusarmi dell’entusiasmo per i libri espresso su un sito che di libri parla.
Ho concluso la lettura de L’esercizio da poco e mi sono reso conto che è stato pubblicato lo stesso anno de La mischia, si tratta di due esordi italiani usciti nel 2020. Così mi è partito il collegamento involontario, guidato dall’entusiasmo che entrambi i libri mi hanno suscitato. Quindi parlerò dei due scritti accomunandoli in questo pezzo forse in modo forzato, più che altro per parlarne un’altra volta. Diciamo che può essere considerato un ulteriore incitamento a leggerli, la forma dell’incitamento lasciatela pure perdere se preferite.
Tranne per quest’unico punto: Valentina Maini e Claudia Petrucci si sono rivelate due scrittrici, non esecutrici di pagine stampate e pubblicate, scrittrici. Dopo due prove d’esordio del genere, hanno creato in me un’aspettativa clamorosa per le prossime creazioni. Credo che difficilmente potrei desiderare di meglio nella mia carriera di lettore: vivere in tempi in cui due autrici del genere stanno concretizzando il loro percorso. Vorrei specificare che potrebbero anche sbagliare il prossimo libro (sempre che questo termine abbia senso) o non scriverne altri, che importerebbe, è l’attesa stessa che il loro talento suscita a rendermi un lettore entusiasta dei tempi in cui legge.
Un avvertimento ulteriore, forse superfluo ma non si sa mai, è che sono incomparabilmente maggiori, direi la quasi totalità, gli esordi che non ho letto rispetto a quelli letti. Magari, quindi, mi sto perdendo altre primizie che mi farebbero lo stesso effetto, ma non lo saprò finché non mi capiteranno sottomano, e fino a quel momento non vedo perché essere cauto su quanto invece mi sono gustato.
Contenuto
Si tratta di due libri mirabili perché capaci di coniugare contenuti e scrittura. Anche se i libri sono costituiti di parole e quindi lo stile è parte fondamentale, questi due testi hanno profondità e complessità tematiche davvero importanti. Entrambi esplorano il ruolo delle personalità, le congetture che su di esse facciamo, sia sulle nostre che su quelle altrui. Petrucci lo fa in modo diretto, raccogliendo la metafora del teatro per svilupparla con una precisione pressante; Maini ci lavora indirettamente, giocando sulle assenze e le allusioni.
Non sono le uniche tematiche toccate, è solo un esempio per tenere uniti gli scritti, entrambi capaci però di lasciare traccia nei pensieri dei lettori. Inoltre, entrambi hanno una trama accattivante, da tenere in sospeso chi legge. Non credo si tratti di libri semplici, più nelle corde di lettori appassionati che occasionali, lettori con la pazienza per tempi non sincopati e un’attenzione attiva. Pur non appartenendo a generi accattivanti per il grande pubblico, sanno però tirar fuori una vena avvincente.
Scrittura
Detto ciò, è la scrittura che mi ha innamorato, perché i contenuti importanti vanno saputi raccontare. Hanno entrambe una prosa elegante, incantevole nel riuscire ad affascinare, eppure viva, di un’incisività vivace e penetrante. Chiaramente si tratta in buona parte di gusti, ma che abbiano una gran bella penna credo non possa essere messo in dubbio; insomma, il livello d’emozione può certo variare, ma il talento è cristallino.
Non scrivono allo stesso modo (almeno in questi due libri). Il testo di Maini è multiforme, l’autrice gioca con gli stili, la prosa è liquida e si adatta alle situazioni da affrontare, propone una mobilità costante che non concede riposo accomodante al lettore. Petrucci invece irretisce attraverso un passo più lungo, sfrutta la prosa per stendere un unico velo suadente che accompagna da vicino il lettore, fino a lasciarlo senza fiato.
Entrambe danno prova di maturità, sia per quanto riguarda l’organizzazione della materia narrativa, anche qui in modo differente, sia nella gestione del ritmo. Si ha sempre l’impressione che abbiano in pugno la situazione, dettano i tempi senza lasciarne di morti, sanno dove andare a parare passo dopo passo. Tra l’altro mantenendo una qualità di scrittura altissima per tutto il testo che non subisce mai cali evidenti, davvero impressionante la sicurezza della conduzione.
I rispettivi resoconti di lettura sono stati indicati, lì mi addentro in un’analisi più approfondita, pur sempre goffa lo so, ma questo posso permettermi, non di più. L’unico modo di concludere è quello di invitarvi a scoprire questi due libri. Personalmente mi definisco un bimbo di Valentina Maini, il suo esordio splende come pietra preziosa e rara. Però Claudia Petrucci è stata una gran bella scoperta, già che ho fatto un parallelo la dice lunga sul mio apprezzamento, se qualcuno mi dicesse di essere in maggiore sintonia con la sua scrittura lo capirei.
Si tratta di due esordi talmente splendidi che non presuppongono un futuro, che spero avvenga naturalmente, hanno un valore intrinseco già compiuto. Ho trovato due scrittrici rare, importanti.
p.s. Vorrei menzionare Marco Cantoni (qui il suo canale YouTube) i cui consigli mi hanno spinto a leggere questi due libri. Poche volte mi convinco attraverso i consigli, ma queste due volte non posso che ringraziarlo in modo convinto (in altre circostanze non è andata altrettanto bene, ma queste scoperte valgono più delle perplessità). Il lavoro che porta avanti sul canale credo sia di qualità, al di là dei pareri con cui si può concordare o meno, nel complesso si tratta di un progetto sensato e ricco di idee.