L’esercizio di Claudia Petrucci è un libro straordinario, tanto più se si pensa ad un esordio. Un’immersione totale in un pericoloso gioco psicologico riguardante la personalità, percorrendo il sottile limite tra amore e possesso, desiderio e opportunità, aspirazione e accettazione l’autrice ci immerge in una vertigine di arroganza e debolezza da lasciare senza fiato.
L’esercizio di Claudia Petrucci
Non c’è nessuna distinzione tra quello che crediamo di conoscere e ciò che conosciamo: quello che crediamo di conoscere è tutto ciò che conosciamo. Mauro dice che è una questione di semplificazione, semplificazione fino all’osso, una strategia che applichiamo senza averne coscienza. Non siamo in grado di tollerare il peso delle infinite possibilità – semplifichiamo, semplifichiamo –, scegliamo una possibilità che intuiamo adatta a noi – semplifichiamo, semplifichiamo – di tutte le infinite possibilità, nell’unica arbitrariamente scelta noi crediamo.
È l’incipit pazzesco di un libro straordinario, tanto più se si pensa ad un esordio. Un’immersione totale in un pericoloso gioco psicologico riguardante la personalità, le maschere che indossiamo, che siamo costretti ad indossare dagli altri, che preferiamo indossare noi. Percorrendo il sottile limite tra amore e possesso, desiderio e opportunità, aspirazione e accettazione l’autrice ci immerge in una vertigine di arroganza e debolezza da lasciare senza fiato.
E non è l’unico elemento mozzafiato, perché c’è qualcos’altro che rende questo libro prezioso: santi numi come scrive Claudia Petrucci! Una scrittura che innamora in modo naturale, senza sforzarsi di conquistare coinvolge fino al midollo. Non solo possiede il graffio in grado di lasciare il segno in alcuni passaggi incastonati come perle nel testo, pur trattandosi di una prosa dal passo lungo e non di strappi, ma si ritrova capacità di gestione del ritmo e alta qualità per tutto lo scritto. Insomma, un approccio alla scrittura maturo ma che non perde in freschezza, forse è un’illusione, come quella in cui sono immerse le nostre personalità.
Va da sé che il libro è vivamente consigliato da chi scrive, anche se, come mi succede quando mi faccio prendere dall’entusiasmo, la voglia di incensare va a finire in sproloquio. Però posso dirvi che è raro trovare in un libro una tale intensità di scrittura e di materia narrativa, e ancora più raro saperli incastrare tanto bene da restituire un unico flusso immersivo, accattivante e in grado di mettere in moto il pensiero. Claudia Petrucci è una scrittrice, e non perché ha scritto un libro pubblicato.
Siamo personaggi
“Siamo noi a scegliere le identità delle persone che ci circondano” dice. “Lo schema dei comportamenti predeterminati, ricordi? Trattiamo le persone come personaggi, costruiamo loro addosso l’elenco dettagliato di ciò che possono e non possono fare, dei torti che se da loro inflitti siamo disposti a subire, delle debolezze che se a loro appartengono possiamo sopportare. Le nostre caratterizzazioni sono dettagliate e rigide e, più il personaggio è vicino a noi, che siamo il protagonista della storia, più siamo esigenti.”
Il punto di vista è quello di Filippo, un ragazzo dalle aspirazioni giornalistiche costretto dalle circostanze a gestire il bar dei genitori. Filippo convive con Giorgia, una ragazza con schizofrenia paranoica (ma il medico sostiene che è un nome per indicare qualcosa che non si conosce) e la passione per il teatro. La loro vita scorre nella normale delusione delle aspirazioni finché Giorgia incrocia nuovamente il vecchio insegnante di teatro, Mauro. Un triangolo anomalo che mette in moto la narrazione.
Il teatro e le sue maschere sono il palese contraltare alla realtà in cui sviluppiamo i nostri personaggi, ma Petrucci sa cogliere lo spunto per andare più in profondità, scandagliando il nostro modo di porci agli altri e recepirli ben oltre la metafora non originale. Il racconto di Filippo ci porta sull’orlo di un baratro senza fondo, dispiegando le dinamiche dei rapporti attraverso il saliscendi delle sue riflessioni.
La figura di Giorgia, attrice e instabile, è perfetta per inglobare le tematiche di fondo, soprattutto nel momento in cui Filippo e Mauro credono di poterla riplasmare. Ma chi è Giorgia? Filippo la cerca nei propri ricordi, nelle proprie certezze, ma anche nei propri desideri ed esigenze. La Giorgia di Filippo si adatta al ritaglio di vita che quest’ultimo le ha dedicato, una vera Giorgia non esiste, anche se quella che Filippo ricorda è la sua vera Giorgia. Le maschere di Giorgia non sono solo quelle che lei ha indossato, ma anche quelle che le ha calzato Filippo.
Sono spesso i dettagli che si fanno vividi nella mente di Filippo, quei momenti, quei gesti che si imprimono nella memoria e nell’immaginario che cristallizzano un modo d’essere. Lo stesso Filippo, lungo il percorso, non rimane identico, vive esperienze che lo scuotono dallo stato catatonico, ma forse non abbastanza, troppo preso dalla ricerca di un fantasma.
[…] Tuttavia, il sorriso di Giorgia resta un mistero. Era stretto, delicato. Era raro. Ora che è scomparso, mi piace restare seduto in quest’angolo della memoria che è caldo e confortevole e così differente. Un istante uguale in eterno. Irripetibile. Irriproducibile.
Accettazione
Io vedo Giorgia e penso che abbia il dono della bellezza fuori posto, che la metti in ordine da una parte e si disfa dall’altra – i capelli, la postura, il vestito, tutto si sbilancia in una corrente continua. Vedo in Giorgia quello che dovrei vedere, cioè un individuo sull’orlo del precipizio, ed è precisamente per questo che me ne sento attratto, poi, però, decido di raccontarmi che la vorrò in virtù di doti più tollerabili – ha una gentilezza d’altri tempi, è empatica, possiede le qualità indispensabili dell’altruismo e della pazienza. Giorgia intuisce in me qualcosa di innocuo.
Senza pretesa di esaurire i temi, accenno ad un ultimo. Quello che manca nel progetto di Filippo, in fondo, è l’accettazione di Giorgia. Non solo l’accettazione che comprenda il disturbo che, a conti fatti, è parte di lei, è segno lasciato dalla sua storia personale. Ancor di più manca l’accettazione dell’altra persona come ontologicamente altro da lui, come essere indipendente che non può essere addomesticato.
Perché l’altro viene utilizzato per riconoscere se stessi, l’altro è accettato come il prolungamento di qualcosa che ci appartiene. Sono le nostre esigenze, paure, aspirazioni, desideri a plasmare l’altro, e in Filippo questo risalta soprattutto nella dimensione della memoria. La memoria è selettiva per forza, per non intasarsi, e la selezione non può che consistere in una nostra proiezione. Giorgia è mai esistita in quanto Giorgia? O è sempre stata la Giorgia di Filippo, o di Mauro, o di chiunque altro?
Un’altra accettazione difficile da digerire è quella del cambiamento delle persone. L’idea che una persona sia un personaggio e quindi delimitato dal recinto della caratterizzazione facilita i rapporti. Li facilita perché sappiamo cosa aspettarci, e anche le stranezze sono prevedibili. Ma sappiamo farci sorprendere? O meglio, vogliamo farci sorprendere? I paletti messi ai personaggi che ci circondano servono a noi, per orientarci; e, magari, per evitare di cambiare noi stessi.
Basta, mi fermo, ma di carne al fuoco ce n’è molta di più. Leggete L’esercizio, lo dico per voi.
Claudia Petrucci- L’esercizio – La nave di Teseo
Bene, benissimo. Questo libro meraviglioso va fatto conoscere al massimo grado. Claudia Petrucci sarà sicuramente una delle autrici più importanti della nostra narrativa futura. Il suo talento enorme non è facile da definire, ma da riconoscere sì. Quindi complimenti vivissimi per la recensione, sottoscrivo tutto.
Congratulazioni
Dario
Grazie per i complimenti, siamo molto contenti di condividere il piacere della scoperta di un’autrice.