La-fuga-nell’oblio-di-Milan-Kundera

La fuga nell’oblio di Milan Kundera

Kundera analizzava l’oblio come categoria concettuale, addirittura sposandola come possibilità esistenziale, mentre per il partito comunista (come per la Chiesa medioevale) la damnazio memoriae era la punizione più feroce che si potesse imporre. Quello a cui puntava il comunismo era annullare chi non era in linea con l’omologazione, ritenerlo non umano negando l’esistenza anche del passato.

L’oblio come categoria concettuale

“Nel febbraio 1948 il dirigente comunista Klement Gottwald si affacciò al balcone di un palazzo barocco di Praga per parlare alle centinaia di migliaia di cittadini che gremivano la piazza della Città Vecchia. Fu un momento storico per la Boemia. Un momento fatidico, come ce ne sono uno o due in un millennio.
Gottwald era circondato dai suoi compagni e proprio accanto a lui c
era Clementis. Cadeva la neve, faceva freddo e Gottwald era a capo scoperto. Clementis, premuroso si tolse il berretto di pelliccia e lo mise sulla testa di Gottwald.
La sezione propaganda diffuse in centinaia di migliaia di esemplari la fotografia del balcone da cui Gottwald, con il berretto di pelo in testa e i compagni al fianco, parlava al popolo. Su quel balcone cominciò la storia della Cecoslovacchia comunista. Dai manifesti, dai libri di storia della Cecoslovacchia comunista. Dai manifesti, dai libri di scuola e dai musei, ogni bambino conobbe quella foto.
Quattro anni dopo Clementis fu accusato di tradimento e impiccato. La sezione propaganda lo cancellò immediatamente dalla storia e naturalmente, anche da tutte le fotografie. Da allora Gottwald, su quel balcone, ci sta da solo. Là dove c
era Clementis c’è solo la nuda parete del palazzo. Di Clementis è rimasto solo il berretto sulla testa di Gottwald”.

Parte così Il libro del riso e dell’oblio del compianto Milan Kundera. Non è un incipit casuale, né per iniziare questo articolo né per la carriera di Milan Kundera.

Dopo una carriera piuttosto travagliata nel partito comunista cecoslovacco, Milan Kundera manterrà per alcuni anni un rapporto freddo ma di rispetto con l’apparato politico e col suo Paese che si immedesimava totalmente nell’apparato (almeno ufficialmente). Sarà Il libro del riso e dell’oblio a trasformare Kundera in un traditore della patria, fino a costargli la negazione della cittadinanza cecoslovacca.

Cosa aveva di così terribile quel libro per negare addirittura il diritto di patria ad uno scrittore? Nulla, semplicemente mostrava il re nudo, anzi il re mentre compie i suoi bisogni fisiologici perdendo la sua regalità.

Come racconta ampiamente il titolo del libro, Kundera analizzava l’oblio come categoria concettuale, addirittura sposandola come possibilità esistenziale, mentre per il partito comunista (come per la Chiesa medioevale) la damnazio memoriae era la punizione più feroce che si potesse imporre. Quello a cui puntava il comunismo era annullare chi non era in linea con l’omologazione, ritenerlo non umano negando l’esistenza anche del passato.

Per Kundera invece l’oblio era una condizione di possibilità, addirittura di ricerca, che poteva valere per passato, futuro e anche presente. Ne La lentezza Kundera provò ad abbozzare una definizione di oblio:

L’oblio ci riconduce al presente, pur coniugandosi in tutti i tempi: al futuro, per vivere il cominciamento; al presente, per vivere l’istante; al passato, per vivere il ritorno; in ogni caso, per non ripetere. Occorre dimenticare per rimanere presenti, dimenticare per non morire, dimenticare per restare fedeli”.

Lasciati da parte le questioni politiche, Milan Kundera desiderava arrivare ad un altro punto, ovvero dove l’esistenza possa essere libera di essere vissuta al di là di ogni sovrastruttura. L’accusa più grande che Kundera fece al comunismo (del resto simile a quella di Kuhn in Questioni di metodo o di Tibor Fischer in Sotto il culo della rana) fu quella di aver attentato direttamente all’essenza della vita, alla possibilità di immaginarsi diversi e liberi dalla struttura generale. Questa critica fu talmente feroce da accusare il comunismo di essere persino più violento del nazismo. Si capisce bene, che quello di Kundera non era un pensiero sul comunismo, non era un libro nero, ma era una critica filosofica, esistenziale.

Da questo punto di osservazione lontano, Kundera ricavò una riflessione tra le più profonde della letteratura del Novecento sull’esistenza, riducendola ai minimi termini, spogliandola di ogni santità.

Il contrario dell’oblio: il riso

Il contrario dell’oblio è il riso, ovvero quella caratteristica precisa che Kundera indica nella precisa azione di deridere il potere, di impoverirlo dall’interno.

“L’umorismo può esistere” dice ne L’immortalità “solo là dove la gente distingue ancora il confine tra ciò che è importante e ciò che non lo è. E questo confine oggi non si distingue più.”

L’umorismo di Kundera è quello della disperazione, di chi ride perché ormai non rimane altro da fare che ironizzare su ciò che è stato e sarà. Lo fa la mamma della protagonista de Il libro del riso e dell’oblio, addirittura sovrapponendo le epoche e le persone, lo fa Tereza ubriaca ormai di gelosia e dolori di stomaco che la conducono alla morte.

Eccoci al punto più alto della letteratura di Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, punto più alto da un punto di viste del successo, ma anche per la capacità che lo scrittore ha in questo romanzo di sublimare i concetti fondamentali della sua opera.

Ci sono tutti gli elementi della letteratura di Kundera: quattro amanti, di cui due sposati e uno spirito libero (Sabina), conducono le loro esistenze cercando costantemente altro nella vita, fino a quando inesorabilmente le loro vite si spegneranno per mancanza di ossigeno. “C’è un legame stretto tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio” dice Kundera, ma proprio questa lentezza, questa capacità di oziare compiendo tanto (cioè vivere) manca al quartetto di protagonisti del libro. Una frenesia sistemica che si tradurrà in una povertà esistenziale.

In questo romanzo c’è tutto: l’asfissia dell’incapacità di essere sé stessi, provocata o da una struttura politica o da un incapacità di scendere a patti con la realtà e goderne nella sua semplicità. Fu un libro dal successo sconvolgente, dalle citazioni pop, da Venditti a Calvino, ma soprattutto segnò inesorabilmente la fine dei regimi utopici con il chiudersi del Secolo.

Bisogna tornare a Lo scherzo, il primo libro di Milan Kundera, in cui per la bassezza di un amico il protagonista di ritrova ad essere perseguitato dal partito comunista. Dopo alcuni anni Ludvik tenta di vendicarsi di questo gesto, ma scopre che nulla di più stupido vi sia della vendetta, meglio la dimenticanza in porti felici.

Meglio l’oblio appunto, quel punto zero in cui Kundera ha voluto nascondersi e in cui noi oggi abbiamo il dovere di non farcelo scivolare.

Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.