Come accettare di essere uomini mediocri

Come accettare di essere uomini mediocri

La gioventù è una splendida bugia, perché ti convince di essere in grado di poter raggiungere tutto. Poi arriva la vita vera, con essa una più sensata percezione del proprio essere e ci si rende conto di essere inevitabilmente delle persone mediocri. Per alcuni questa illuminazione non arriva mai, vedi Di Maio, ma per molti di noi questo è uno dei momenti più duri della propria vita. Come venirne fuori?

La consapevolezza della mediocrità

Le statistiche de Il Fatto parlano chiaro: come il 59% degli elettori PD vogliono un governo coi 5 Stelle, il 98% degli umani, a un certo punto della propria esistenza, si rende conto di essere mediocre*.
Mediocre non nel senso di medio tendente al basso, ma proprio di medio tendente al medio, una persona cioè, che ha qualità che possono inserirsi perfettamente in quella forbice che va da ciò che si può definire “normale” a ciò che invece si può definire “più che normale”.

Ebbene, questa percezione di realtà per la stragrande maggioranza di noi non è qualcosa di graduale, bensì è più come un sonoro schiaffo in faccia che arriva in un momento ben preciso della propria crescita personale. Di solito, ci si rende conto di essere dei mediocri con il rifuggire della giovinezza, fase assolutamente falsa dell’esistenza in cui, a causa di un’esagerata fiducia nei nostri mezzi, tendiamo a crederci superiori rispetto a ciò che in realtà siamo. Altre volte invece ce ne rendiamo conto nel corso di quelle poche occasioni in cui facciamo un bilancio della nostra esistenza. Altre, invece, quando volenti o nolenti ci tocca esperire da vicino la caducità della vita. In qualsiasi maniera si venga a contatto con questa percezione di mediocrità insita nel nostro essere, in ogni caso, il risultato di questa epifania ha dei risultati devastanti sulla nostra psiche.

* Il restante 2% è composto da quelle persone che hanno realizzato qualcosa al di fuori delle normali routine di vita biologica, per cui se ve lo state chiedendo, no, fare un figlio, mettere su famiglia o essere vegani non è qualcosa di straordinario.

Le reazioni alla consapevolezza della mediocrità

Ci sono tre tipi di reazioni alla scoperta della propria mediocrità. Ci sono quelli che si abbandonano ai ricordi, a quello che era (che poi semplicemente è quello che credevano di essere) e smettono di sognare, facendosi andare bene in maniera passiva quello che hanno. Li riconosci, perché a 50 anni sono quelli più silenziosi e quando vengono interpellati su qualcosa che un tempo amavano alla follia, sorridono, abbassano lo sguardo e scuotono la testa, come adirer: “Eh, un tempo, forse…”.

Poi ci sono quelli che sostituiscono i sogni con la collera verso un mondo che gli ha tarpato le ali. Se non fosse capitato questo, se solo non fosse successo quello sono gli imperativi con cui si giustifica il proprio presente, ma soprattutto diventano il faro da seguire e con cui mandare a rotoli il proprio futuro. Anche loro li riconosci, perché se i primi hanno smesso di sognare, questi hanno inevitabilmente smesso di ragionare: incapaci di accettare quello che sono, riversano la loro insoddisfazione verso l’esterno (e a giudicare dai risultati dell’ultima campagna elettorale sembrerebbe che in Italia la percentuale del 98% sia parecchio ottimista).

Infine, c’è chi nega la propria condizione di mediocrità portando avanti comportamenti e aspettative talmente fragili da crollare al primo soffio di vento. Forse questa è la tipologia di persone più pericolose per se stesse, perché nella frenesia di dimostrarsi non mediocre si offre inerme a ogni sorta di profezia che si autoavvera. E anche loro, purtroppo, li riconosci, perché sono talmente ossessionati dall’essere qualcosa d’altro che anche se li guardi attentamente, non capisci più cosa c’è realmente dentro di loro.

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Come affrontare la mediocrità

A patto che voi non facciate parte di quel 2% che riesce a realizzare nella vita qualcosa di straordinario, dunque, non potrete sfuggire a quella dolorosa puntura di spillo che vi risveglierà dal vostro gigantismo giovanile.
Il segreto in questo caso è capire come fare a non venirne travolti, o peggio ancora, a non risultare schiavi delle vostre proiezioni.

Innanzitutto bisogna comprendere che la mediocrità non si cancella, non c’è una soluzione, non è qualcosa che possiamo nascondere, o negare, o tantomeno scaricare verso l’esterno. Siamo così perché questo è il modo naturale di vivere dell’uomo, e cioè alla perenne ricerca di un equilibrio dei sentimenti che gli consenta di affrontare la vita senza troppe preoccupazioni -pur mantenendo di sé un’immagine personalmente accettabile- e l’esigenza di sognare qualcosa di diverso, di altro da sé.

Difesa e attacco.
Conosciuto versus ignoto.

Questa è l’origine della nostra mediocrità, un costante balletto tra il desiderio di vivere senza problemi e una strisciante tensione verso l’infinito che ci spinge a (sognare di) guardare oltre.
La differenza tra noi e quel 2% straordinario sta proprio lì: nella loro capacità di percepire la paura e affrontarla, anche a costo di rischiare di trovare qualcosa che faccia male. Anzi, persino a costo di verificare con ogni fibra del proprio essere la presenza o meno di ciò che pensate di trovare (ché spesso, ammettiamolo, l’assenza fa più paura del dolore).
Ciò vale per chiunque voi reputiate straordinario, dal calciatore famoso (che nella vita ha sacrificato tutto per inseguire un pallone) al politico di razza, che sa traslare il pensiero individuale estendendolo alla collettività, fino alla rockstar o allo scrittore che hanno saputo mettere le mani dentro se stessi per tirare fuori qualcosa di unico.

E quindi? E quindi nulla, non c’è soluzione alla mediocrità, ma c’è la maniera per renderla meno dolorosa. Basterebbe accettarla per quello che è, sentirla come parte di noi. Ma non qualcosa di cui vergognarsi, bensì un aspetto del nostro essere da cui prendere spunto per provare a essere migliori. Questo non cambierà nulla nell’economia del mondo- sennò saremmo straordinari- ma cambierà di molto del rapporto che avete con voi stessi.

Ps: questo pezzo è stato scritto a circa 10.000 metri sul livello del mare, su un aereo in direzione Tokyo, più o meno all’incirca mentre si sorvolava Kabul. Per un disguido gestionale della mia segreteria di redazione, mi sono ritrovato a viaggiare in un’economica stile terza classe fantozziana, mentre tutti i colleghi delle testate concorrenti hanno potuto dormire beati in una classe superiore. Affianco a me c’era un signore che ha mangiato noccioline per cinque ore e, dislocati nel mio scompartimento, c’erano tre bambini che come i cani de La Carica Dei 101 hanno comunicato ululando in maniera ininterrotta per tutto il viaggio. Un viaggio disagevole su diversi piani esperenziali, insomma.

Questa sensazione di sofferenza interiore si è dapprima palesata procurandomi uno stato catatonico durato due ore, poi facendomi odiare la casa editrice per cui lavoro nonché tutte le genti dai tratti asiatici, infine, si è tramutata in una grandissima voglia di prendere a testate l’oblò e lanciarmi di sotto.
Poi mi sono rilassato, mi sono infilato le cuffie, ho acceso il computer e ho iniziato a coccolare la mia mediocrità.

E per quel che mi riguarda, almeno per ora, ha funzionato.

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Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

2 Commenti

  1. Bell’articolo, illuminante, fa chiarezza in un mare di emozioni e considerazioni sulla propria esistenza che prima o poi sei costretto ad affrontare.

    • Bell’articolo ma poco aderente alla realtà. In particolare non esiste una dicotomia netta tra mediocrità ed eccellenza ma tante sfumature che, oltre a riflettersi su una scala altrettanto graduale di influenza su “l’economia del mondo” (esagerato), possono generare diversi atteggiamenti e soddisfazioni rispetto a sé stessi. Una persona appassionata di musica ma – ahimé – esterna a quel due per cento, potrà tranquillamente vivere una vita da musicista o addetto ai lavori e non dare mai udienza alla frustrazione, pur non essendo Art Tatum o Michelangeli. Forse l’autore generalizza sic et simpliciter qualcosa che ha vissuto lui – che non sembra se la passi male, tra l’altro – e che non ci riguarda tutti. Le dinamiche emotive e di consapevolezza che tenta di affrontare possano essere sintetizzate meglio dalla frase: “La soddisfazione è uguale ai risultati meno le aspettative”. Se si affronta una disillusione ottimale – perché è vero, da giovani si trotta con la fantasia – non arriva nessuno schiaffo in faccia. Ma va da sé che, se le aspettative sono troppo alte, non ci sono risultati che tengano.

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