Cinque modi per rovinarsi la vita e relativi rimedi

Avere una vita che scorra facile come una supposta ben lubrificata è il sogno di tutti noi. La realtà, purtroppo, è che l’uomo per quanto si sforzi è un essere inadatto alla vita tranquilla e senza problemi: a livello genetico siamo programmati per ben altro, ogni nostro gesto è potenzialmente deleterio ed è solo per una mera questione darwiniana che non ci siamo estinti prima ancora di raggiungere la posizione eretta (qualcuno lo doveva pur distruggere questo benedetto mondo).

Ecco dunque cinque prassi umane apparentemente normali che nascondono un potenziale rischio per la vostra sanità mentale. E visto che la rubrica si chiama appunto Fiori di Kant, a seguito della patologia vi forniamo anche gli strumenti per venirne fuori. Inutile puntualizzare che chi scrive non ha mai messo in pratica nulla di quello che andrà ora a pontificare.

1# Lavorare

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 Il lavoro è la peggiore fonte di stress che l’uomo moderno sia mai riuscito a concepire. Sia che vi piaccia la vostra occupazione, sia che non vi piaccia, ricordate questo: il lavoro vi impegna mediamente nove ore al giorno (8 + i trasferimenti), cinque giorni su sette a settimana (se vi va bene), e circa 20 giorni su 30 al mese. Questo vuol dire che al netto delle ore di sonno (facciamo 8 sempre se vi va bene) voi passate 3/4 della vostra vita a non vivere la vostra vita. Un controsenso.

Soluzione – È molto semplice: facilitate l’epilogo proposto dalla crisi globale, da Renzi e dal suo JobAct di merda e, parafrasando Mark Renton, scegliete di non lavorare. Privato di tutto, a livello biologico un uomo può vivere di soli liquidi per circa 20 giorni. Forse dimagrirete un po’ e andrete incontro a qualche acciacco, ma in quei 20 giorni starete da dio perché avrete più tempo per pensare a voi. Se invece proprio non ne volete sapere di ridurre la vostra aspettativa di vita, allora impegnatevi a seguire una sola regola, qualunque sia la vostra attività: non fatela gratis e nel farla preservate sempre una parvenza di dignità (una finta partita iva, ad esempio, oltre che illegale, è indegna), sprecherete lo stesso la vostra esistenza, ma lo farete potendovi guardare allo specchio.

2# Sposarsi

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 Il matrimonio rappresenta il millenario tentativo di blindare sotto il peso di una regola (divina e sociale) quello che più ci distingue dal resto del regno animale e cioè la capacità di costruire relazioni stabili, indipendentemente dall’istinto. Ma soprattutto, il matrimonio è il tentativo di negare una delle più grandi verità umane, ossia che queste meravigliose alchimie fisico/mentali che chiamiamo relazioni, come tutte le cose del mondo, hanno un inizio, uno svolgimento e una fine.

Soluzione – State insieme finché volete, datevi le regole che volete e godetevela finché dura, per dio. Vivrete meglio il presente e avrete ricordi migliori quando finirà. Perché finirà, anche se per principio e convenzioni potreste decidere di portare avanti il cadavere della vostra relazione fino alla tomba.

3# Avere una vita sociale piena e soddisfacente

NATIONAL LAMPOON'S ANIMAL HOUSE, (from left): Bruce McGill, Tim Matheson, Peter Riegert, John Belushi, James Widdoes, 1978. © Universal Pictures / Courtesy Everett Collection

Contare tante persone di questi tempi è un segno distintivo, perché vi permette di collocarvi nel bel mezzo del gioco sociale, vi dà una posizione nel mondo ma, soprattutto, riversa litri di collante sui frammenti della vostra autostima, resa labile dall’esposizione costante a modelli di riferimento inarrivabili. Il problema è che avere tanti amici di cui non vi frega un cazzo, alla lunga può essere devastante per la psiche. Frasi di circostanza, serate inutili e risa forzate sono il modo peggiore per impiegare il poco tempo che avete da passare su questa terra. Se solo ci si rendesse di quanto il valore di una  reale interconnessione sia inversamente proporzionale al numero di persone che si frequenta, probabilmente il mondo sarebbe un mondo migliore. Ma non è così e difatti sono qui a redigere questa bella lista.

Soluzione – Scorrete la vostra agenda oppure l’elenco dei vostri contatti social e, per ognuno provate a documentare tre caratteristiche che ve lo fanno sentire vicino. Non le avete trovate? Non è un amico, depennatelo. Ovviamente in questo giochetto non vale considerare le qualità di comodo tipo “quello conosce quell’altro che mi fa entrare al locale senza fare la fila”, oppure “quello è uno figo, vale la pena tenerselo buono”: in tal caso, sappiatelo, non si tratta di amicizia ma di semplice opportunismo.

4# Apparire vincenti

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Nella società dell’apparire è fondamentale dare di sé un’immagine vincente. E in questa dinamica malata -se si esclude l’uso perverso dei social come vetrina amplificata di una realtà inesistente (instagram soprattutto ha generato mostri che vacillano pericolosamente tra il ridicolo e il patologico)- un ruolo fondamentale lo hanno le parole che usiamo per inquadrarci nel mondo, vale a dire le definizioni che diamo di noi. Qualche esempio. Ho una reflex? Sono un fotografo. Scrivo su un giornale gratis o poco meno di gratis, senza nessuna gavetta e nessun Albo che certifica la mia professione? Sono un giornalista. Parlo tanto? Sono un comunicatore. Scrivo uno stato facebook su cosa mi ha raccontato il vicino di casa rincoglionito? Sono uno scrittore, anzi, un cantastorie che è più bohémien. Faccio una foto di me vestito con un sacco della monnezza? Sono un influencer. Il problema è che a questo mondo tutti vorremmo essere qualcosa ma basterebbe soltanto guardarsi attorno per capire che stiamo portando avanti una messa in scena faticosa oltreché inutile. Se fossimo davvero tutti delle persone di successo, come dovremmo spiegarci lo schifo di situazione lavorativa che c’è in Italia?

Soluzione – Iniziamo a chiamare le cose col loro nome e accettiamole, una buona volta.  Ho una reflex? Sono un appassionato di fotografia/sono un hipster (o meglio, la riedizione sciapa e priva di contenuto dell’hipster descritto dagli scrittori della beat generation). Scrivo su un giornale gratis o poco meno di gratis, senza nessuna gavetta e nessun Albo che certifica la mia professione? Se mi faccio pagare sono un contributor, se lo faccio gratis sono uno che rovina la professione, blogger/appassionato per tutto il resto. Parlo tanto? Sono un rompicoglioni. Scrivo uno stato facebook su cosa mi ha raccontato il vicino di casa rincoglionito? Sono l’utente medio di un qualsiasi social network. Faccio una foto di me vestito con un sacco della monnezza? Sono un pirla (a meno che per vestirsi da scemo non si venga pagati, allora in quel caso oltre che probabile influencer sono anche un fottuto genio).

5#Essere felici  

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L’imperativo categorico di questi tempi sembra essere quello di essere felici a ogni costo, di mostrare al mondo la nostra felicità e tutto quello che facciamo per ottenerla. I social e gli smartphone, ovviamente, in questo rivestono un ruolo fondamentale perché ci hanno dato la possibilità di condividere sempre e in tempo reale tutto quello che facciamo. Il problema è che essendo noi animali fondamentalmente stupidi, ci basta un attimo per passare il segno e confondere ciò che è davvero importante, cioè la reale felicità, con ciò che in teoria dovrebbe essere solo una conseguenza, ossia esternarla senza sosta al prossimo tuo. La sensazione è che ormai non ci si ricorda più di quello per cui si è felici, ma solo di quello che si è fatto per enfatizzare, con una foto o uno stato, la vostra supposta felicità. E non dite che la foto sul social vi serve per immortalare un momento e trasformarlo in ricordo, perché non ci crede nessuno. Vi serve perché avete bisogno di dimostrare al mondo che eravate lì. E che chi non c’era s’è perso qualcosa.

Soluzione – Non divertitevi più. O meglio, accettate il vostro divertimento per quello che è, sicuramente banale, forse addirittura patetico (come dormire nove ore filate sul divano) ma proprio per questo efficace. E smettetela di essere felici. La felicità è sopravvalutata, soprattutto in questo periodo dove questo stato d’animo sembra essere più inflazionato delle tette di Belen. Sperimentate la malinconia piuttosto: è più accogliente e di certo più elegante della felicità. Se poi foste in grado di godervela per i fatti vostri lasciando perdere le citazioni di Baudelaire e le foto di schiena al tramonto, potrebbe persino risultare sincera.

Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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