Il simpatizzante
è un caso letterario scoppiato in America lo scorso anno, quando il libro di Viet Thang Nguyen ha vinto il Premio Pulitzer nella categoria romanzo. In Italia è arrivato a Novembre per Neri Pozza. Il New York Times lo ama, i circoli letterari statunitensi parlano di lui come un innovatore del romanzo e per una volta questo non è marketing ma siamo in presenza di un grande libro. Dalle parti di Greene dicono molti, a mio avviso Don De Lillo per alcuni versi.
Le ragioni per cui questo libro è diventato un caso letterario sono molteplici e tutte vanno a poggiarsi nel lavoro che Viet Thang Nguyen ha compiuto per scrivere questo testo, dove la parola lavoro vuol dire bagaglio di una vita. Premesso che lo scrittore vietnamita naturalizzato statunitense ha vissuto davvero in un campo per profughi scappando da Saigon nel 1975 (da qui partirà il Il Simpatizzante tra l’altro), Viet Thang Nguyen è professore presso la University of Southern California e vi basterà leggere le ultime pagine de Il simpatizzantee per capire da dove arriva la profondità di questo libro.
Tra i ringraziamenti dello scrittore compare una bibliografia mastodontica che annovera una quantità di saggi, articoli di giornale, film, canzoni, mostre visitate a Los Angeles: insomma questo libro è la rielaborazione davvero efficace di quarant’anni di riflessioni su ciò che è stato la guerra in Vietnam.
Per chi fosse neofita dell’argomento alcuni passaggi potrebbero risultare poco rilevanti perché appena accennati avendo l’autore preferito la leggerezza e la fluidità della narrazione, ma se avrete voglia (o avete già avuto modo) di approfondire ogni singolo tema del libro capirete che questo testo, oltre che un ottimo romanzo, è un buon breviario di storia, geopolitica ed estetica della guerra dal 1975 ad oggi.
La guerra in Vietnam qui viene spogliata del romanticismo europeo che ammanta una guerra sanguinosa in cui molti dei veri protagonisti non hanno mai imbracciato un fucile (russi, cinesi sopratutto) e la inserisce nello scacchiere mondiale ai tempi della Guerra Fredda. Tempi in cui l’Italia veniva considerata un pericoloso paese a rischio terrorismo come racconta un Professore inglese a metà libro.
Ne Il simpatizzante troviamo anche la risposta alla domanda: come hanno fatto gli americani a perdere una guerra contro il Vietnam? Anche se è un personaggio minore a pronunciare questa risposta, la sua può essere a buon diritto considerata una tesi storica: gli americani avevano altro a cui pensare in quel momento e non hanno voluto vincere, non avevano le mani libere.
Perché? E qui Il simpatizzante condensa in cinquecento pagine un’antropologia americana vissuta attraverso gli occhi di una spia, il Capitano, che vive nascosta in casa di un Generale della guardia Nazionale del Vietnam del Sud e che racconta in prima persona in bilico fra l’autoanalisi e la riflessione politica. “Forse voi (i vietnamiti rifugiati) ci conoscete meglio di noi stessi” dice ad un certo punto un Deputato americano ai suoi commensali parlando proprio di antropologia e politica internazionale.
Il libro si apre a Saigon nel 1975 mentre i Vietcong stanno impossessandosi del potere nella ex colonia francese. A parlare è in prima persona il Capitano, come viene definito da chi gli rivolge la parola, che svela immediatamente il suo status di uomo “dormiente, un fantasma, un uomo con due facce. È un uomo con due menti diverse…”
Da questo incipit si snoda un racconto intimo di una persona esattamente scissa a metà fra ciò che crede e ama (il comunismo, la presunta giustizia sociale) e ciò che fa: ovvero la mente di un importante Generale anticomunista a cui ruba tutte le informazioni che passa all’esercito rivoluzionario.
Questa è la più apparente delle scissioni ma non l’unica: il Capitano è figlio di prete occidentale e di una contadina vietnamita, colpa che lo marchierà a vita come bastardo, ibrido, una persona di cui non fidarsi. A relegarlo nel ruolo di reietto saranno senza distinzioni gli americani, i vietnamiti e persino i Viet Cong: come a dire che per i miscugli di razza ancora non siamo pronti, al di là dell’ideologia.
Da questo tratto autobiografico si origina quella che potremmo definire la formazione di un rivoluzionario illuso di poter sconfiggere il proprio disagio esistenziale e culturale attraverso la rivoluzione comunista “il rivoluzionario in cerca di rivoluzione, anche se non troveremmo niente da obiettare se qualcuno ci definisse sognatori, resi ciechi da un’illusione”.
Davvero toccanti e ben scritte le parole che il protagonista dedica alla madre, ultima per eccellenza della Storia ma ovviamente unica persona nel cuore di un uomo che ha abiurato ogni sentimento. Violente invece le maledizioni dedicate ad un padre che incarna anche lo spirito colonialista di europei e americani nei confronti delle popolazioni del sud est asiatico.
Spassoso (uso proprio questo termine si) invece tutto ciò che è il racconto della cultura americana, dove il Capitano che ama tantissimo Los Angeles e gli Stati Uniti riserva alcune perle estremamente esilaranti “I rifugiati come noi non potevano neppure pensare di mettere in discussione l’ideologia in stile Disneyland seguita dalla maggioranza degli americani”.
Nei capitoli centrali compare invece un libro a sé, in cui il protagonista riflette sulla cinematografia e sul potere della comunicazione cinematografica. Anche qui la riflessione non è casuale se pensiamo che la Guerra in Vietnam è stata la prima ad entrare in maniera così forte nella cinematografia americana attraversandola da Apocalypse Now a Nato il 4 Luglio, Il Grande Freddo e Forrest Gump solo per citare quattro film molto famosi
Ogni pagina è ricca di sarcasmo e informazioni, di autobiografia e racconto storico. Il simpatizzante è un libro destinato a restare nella storia americana come compendio di cosa siano stati la fine degli anni ottanta per la super potenza americana e di quanto abbiano influito sul futuro del paese a stelle e strisce. Se è un capolavoro o solo un grandissimo libro lo capiremo fra vent’anni, ma di sicuro ne parleremo.