Il colibrì - Sandro Veronesi

Il colibrì – Sandro Veronesi

Il colibrì di Sandro Veronesi rimane sospeso tra due letterature: una più leggera e una che invece sfiora il grande romanzo riflessivo. Questo forse è il segreto della narrativa di Veronesi: riuscire a rimanere sospeso fra più mondi apparendo sempre leggero e ben ordinato, proprio come il suo colibrì.

Il colibrì di Sandro Veronesi

C’è una brutta malattia che attraversa la narrativa internazionale, quella della fretta e dell’iperconnettività: tutto vogliono descrivere tutto arricchendo, aggiungendo, approfondendo (a volte), stratificando. Spesso il risultato è al di sotto delle ambizioni per varie ragioni, tra cui la principale: troppa carne al fuoco rovina il piacere della scoperta.

Non si può invece accusare di barocchismo o eccessiva lungaggine Sandro Veronesi, candidato al Premio Strega di quest’anno con il suo ultimo libro dal titolo Il colibrì edito da La Nave di Teseo.

Veronesi svuota la questione ontologica e arriva all’osso di ogni disamina sulla esistenza: il rapporto tra il dolore e la morte nel prosaico disvelarsi nella quotidianità. Come già espresso in altri libri di grande successo dello scrittore fiorentino, Caos calmo su tutti, il focus della vicenda è la vita più o meno arrovellata della media borghesia italiana.

In questo caso ci troviamo di fronte ad un protagonista, Marco Carrera, che attraversa le vicissitudini della vita con un senso interiore di fermezza, di pacatezza, almeno in apparenza.

In realtà la metafora del colibrì nasce proprio da questo approccio del protagonista alla vita. Come gli viene suggerito da uno psicanalista nel testo, fa tantissimi movimenti per rimanere fermo o cercare di farlo, proprio come il piccolo uccello che dietro all’apparente immobilità in realtà nasconde un movimento fortissimo. Anche Marco ha questa capacità di rimanere fermo, ma la sua appunto è un’immobilita piena di movimenti in direzione opposta per cercare di mantenere ferma una pozione di apparente tranquillità, di felicità.

Il rapporto tra dolore e movimento

Un’immagine, questa della felicità, che fatica ad emergere in Marco, cancellata più da un’idea di atarassia, di blocco emotivo di fronte alla realtà piuttosto che di una vera difesa di un’immagine idilliaca.

Il protagonista, che odia la psicoanalisti, proprio confrontandosi con uno psicologo scoprirà un matrimonio già finito in modo inequivocabile in quello che lui pensa essere un rapporto da proteggere e idealizzare.

Di fianco al protagonista alcune ombre: la morte dei genitori, c’è la sorella di Marco, Irene, una figura tormentata ma volitiva che fa da specchio all’uomo rassegnato.

E allora la famiglia diventa un nido dove ricercare un mondo aureo che non è mai esistito, un’immagine che però permette di rassicurare Marco nella sua immobilità.

Forse è proprio qui uno degli snodi centrali del libri di Veronesi: il rapporto tra dolore e movimento, fra capacità di spostarsi nel tempo reggendo il tempo.

Come detto all’inizio, Marco vive, non abbandona la vita, si sposa, fa figli, ama, cerca di essere felice, ma non è l’idea che la felicità sia nel progresso dell’individuo che guida il protagonista. Al contrario è cercando di tenere fermo il tempo che Marco pensa di poter passare anni sereni sulla terra, fino a quando tutte le certezze, ad una ad una, iniziano a vacillare.

Sospeso tra due letture

Il colibrì è un libro con tanti punti di domanda, alcuni molto ben posti, soprattutto si staglia da una certa letteratura troppo ricca di effetti scenici o inutili rivoli, va dritto al punto.

Purtroppo in questa linearità si perde un po’ di spontaneità, di profondità, rimanendo sempre in un contesto molto ordinario e un po’ troppo semplice in alcuni momenti.

La volontà di rassicurare il lettore, ma ancora prima i propri protagonisti, fa rimanere Veronesi sospeso tra due letterature: una più leggera e una che invece sfiora il grande romanzo riflessivo. Il colibrì è stato giustamente premiato dal pubblico e concorre per il maggiore premio letterario italiano, e questo forse è il segreto della narrativa di Veronesi: riuscire a rimanere sospeso fra più mondi apparendo sempre leggero e ben ordinato, proprio come il suo colibrì.

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Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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