Recensione: La strada, Cormac McCarthy

La strada è un libro che si legge in due notti, in una se siete particolarmente veloci. Uno stile asciutto, da manuale. Immagini che ti si imprimono con violenza nel fondo dell’anima. Cosa resta dell’uomo se l’unica cosa che gli rimane a disposizione è la costrizione a sperare?

La trama de La strada

Trama: il mondo è vittima di un’imprecisata apocalisse che ha spazzato via tutto quello che resta della civiltà. In vita resta solo una piccola parte di umanità, tutto intorno, densa cenere. Un uomo e un bambino sono in viaggio per raggiungere un ipotetico mare, lottando ogni giorno con la fame, scappando dai propri simili e provando ogni giorno a procrastinare una fine che pare essere se non imminente, molto vicina. Con loro un carrello della spesa riempito di poche cose, un telo per coprirsi, qualche scatoletta di cibo e una pistola con due colpi, nel caso il destino dovesse farsi ancora più insopportabile di quello che già è. In questo scenario claustrofobico degno del peggiore degli incubi, Cormac McCarthy disegna una perla di rara bellezza narrativa, in grado di restituirci la verità di un’umanità scarificata, ridotta all’osso.

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A condurre il lettore attraverso questo viaggio ci pensa una prosa pulita e tagliente, periodi brevi e graficamente spaziati tra loro, funzionali nel rendere ogni parola pesante come un macigno (nel senso bello del termine), eppure scorrevoli come raramente mi è capitato di leggere. Meraviglia delle meraviglie di questo libro sono i dialoghi, che francamente non riesco a descrivere se non definendoli, per la loro incisività, semplicemente perfetti.

Cormac McCarthy Per certi versi, La Strada, rappresenta l’ulteriore passo avanti di uno scrittore che già con i suoi romanzi precedenti ha dimostrato una sensibilità unica nel mettere a nudo le distorsioni della società (“Non è un paese per vecchi” è solo un esempio). Con questo lavoro, dunque, McCarthy va oltre spingendo la sua critica verso quelle estreme conseguenze che coinvolgono l’essenza stessa dell’uomo. La metafora utilizzata è quella del rapporto padre-figlio, un legame basato qui sulla più pura sussistenza, ridotto ai minimi termini e per questo ancora più denso e forte. Lo stile di McCarthy, scarno e incisivo, permette di rendere al meglio il rapporto tra i due, ripulendo la storia da ogni tipo di retorica “apocalittica” e facendo affiorare soltanto quelli che sono i bisogni più ancenstrali dell’essere umano. In questo viaggio, l’uomo e il bambino portano dentro di loro solo la speranza verso qualcosa di indefinito e i loro ricordi (quello della moglie, della vita che fu), quasi a significare che alla fine di tutto, ciò che ci rimane davvero addosso è quel poco che siamo riusciti a imprimere in fondo all’anima.

Personalmente confesso che leggere questo libro è stata una sofferenza. Se poco poco siete sversi, infatti, La Strada saprà farvi sprofondare in abissi di depressione infiniti. E non solo per la tematica o per l’indicibile sofferenza dei due protagonisti, ma per la capacità di McCarthy di infilarti a forza nel cuore di questi due disperati, generando, pagina dopo pagina, un senso di identificazione ai limiti del doloroso.

In conclusione?

In definitiva è un libro che va letto. Anche se sapete già che non è il vostro genere. Anche se avete visto The Road (la trasposizione cinematografica del 2009) e vi ha fatto cagare. Perché piaccia o non piaccia, uno che è capace di scrivere queste cose qui, va assorbito fino all’ultima parola.

“Tutto bene? chiese l’uomo. Il bambino annuì.

Poi si incamminarono sull’asfalto in una luce di piombo,

strusciando i piedi nella cenere, l’uno il mondo intero dell’altro.”

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Valutazioni emotive:
Felicità   1%
Tristezza   100%
Profondità   90%
Appagamento   90%
Indice metatemporale   90%

Voto complessivo - 90%

90%

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Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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