Il reportage Afghanistan 2001-2016 La nuova guerra dell’oppio racconta come in Afghanistan dal 2001, ovvero dall’intervento militare delle truppe occidentali in risposta agli attentati dell’11 settembre, la produzione di droga sia aumentata di 40 volte. È sufficiente questo dato, storico e scientifico allo stesso tempo, per stuzzicare la curiosità ed indurre a divorare il reportage del giornalista Enrico Piovesana Afghanistan 2001-2016 La nuova guerra dell’oppio.
Un’inchiesta su un paese controverso
Si tratta di un viaggio-inchiesta dell’autore nei luoghi in cui la coltivazione di papavero, che per estensione in terra afgana nel 2014 ha raggiunto il suo massimo di ogni tempo, è l’unico mezzo di sussistenza delle tante famiglie di contadini. A prescindere dal raìs o dal governo, nell’epoca contemporanea «chi ha un campo di papaveri – si riporta nel testo – deve ripagare i commercianti di oppio che anticipano denaro e sementi, deve pagare la manodopera stagionale per il raccolto e versare bustarelle alla polizia per stare tranquillo. Chi non paga questa tassa […] viene punito con il sequestro del raccolto». Perché coltivare cereali o grano non conviene: specie dopo le massicce importazioni “umanitarie” di questi prodotti, i prezzi sono troppo bassi e non permettono la sopravvivenza dei contadini. D’altronde, lo stipendio dei poliziotti è talmente infimo da renderli facilmente corruttibili. Caratteristiche di uno Stato fallito, come ce ne sono tanti nell’epoca del capitalismo.
Ad ogni modo, non è questo lo scandalo. Per non inimicarsi la popolazione, i militari occidentali non distruggono le piantagioni di papavero. Nonostante sia materia prima nella produzione di eroina che miete nel mondo decine di migliaia di vittime all’anno. Il problema ancor più grave è che i soldati occupanti non solo lasciano in pace i piccoli proprietari terrieri, ma sono complici altresì dei grandi narcotrafficanti afgani, i signori della droga che possiedono latifondi e raffinerie per l’eroina (fino all’invasione occidentale non ne esistevano nel Paese, essendo presenti nel confinante Pakistan). In nome della real politik, i servizi segreti miliari americani e tutta la missione di pace occidentale è complice dei maggiori produttori di droga, legati a doppio filo con i gerarchi del governo (Karzai in testa). Il risultato è che l’Afghanistan è praticamente monopolista mondiale nell’esportazione di oppio (oltre il 92 per cento, il resto proviene dall’Indocina) e quindi di eroina. Se questo non dovesse bastare, Piovesana riporta come militari occidentali siano direttamente coinvolti nel traffico di droga e che proprio dagli aeroporti militari, non soggetti a controlli, partono tonnellate di eroina per la Russia e l’occidente.
Insomma, informazioni preziose che meritavano però una trattazione più approfondita. L’autore avrebbe dovuto dedicare più pagine e particolari al suo coraggioso viaggio in Afghanistan, alla descrizione dei luoghi, delle persone, della vita di questo Paese che difficilmente visiteremo. E, poi, un’analisi più precisa e dettagliata delle dinamiche storiche, sia della prima guerra dell’oppio cinese sia dell’intervento militare occidentale in Afghanistan. Ne sarebbe scaturito, ne sono sicuro, un testo straordinario. Così è semplicemente un interessantissimo reportage di una novantina di pagine. Che però consiglio vivamente.
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