La parte di Malvasia di Gilda Policastro è una polifonia claustrofobica, un turbinio di entrate in scena a puntellare l’incertezza, tutte a respirare in modo stretto sulle patologie sussurranti della vita, sul loro letto irrevocabilmente disfatto, in uno sgocciolamento di esistenze stese all’ombra della morte.
La parte di Malvasia di Gilda Policastro
Non c’è più misura nelle parole, sono finite le cautele dell’arretrare e le attenuazioni del riflusso, si è nel tempo non più dilazionabile, ma come accade in circostanze simili è solo una delle parti a trovarsi lì, l’altra tira nella direzione contraria, ignorando di proposito i termini dell’implacabile, riportando al dove eravamo. Non si procede mai all’ambio, bisogna farsene una ragione. Il richiamo alla vita che verrà è crudele quanto la percezione della sua inevitabilità: certo, verrà una vita, e come no. Tu non pensi a nasconderti, vuoi scappare all’evidenza. L’evidenza non è uguale per tutti, è la conversione all’ipotesi ulteriore che è realmente democratica. […]
Una polifonia claustrofobica, un turbinio di entrate in scena a puntellare l’incertezza, tutte a respirare in modo stretto sulle patologie sussurranti della vita, sul loro letto irrevocabilmente disfatto, in uno sgocciolamento di esistenze stese all’ombra della morte. Tutti avrebbero una parte che rappresentano in scena, ma alla fine è un continuo mescolarsi, confondersi in una rappresentazione che racchiude tutti quelli che incrocia, sparigliandoli senza amalgamarli.
E la scrittura capace di farsi specchio dei personaggi, con una prosa che restituisce il linguaggio parlato riuscendo a insinuarsi tra le pieghe più intime, serpeggiando tra i pensieri che si fanno pressanti. Si tratta di un gioco serrato, basato su un’alternanza non sempre chiarificatrice, proponendo dei flash articolati, come istantanee lette in controluce, dove si annida il controcanto all’immagine visibile. Una scrittura estremamente funzionale al progetto, capace di catturare nel labirinto in cui conduce. Una scrittura incisiva.
Un libro che non mi ha convinto fino in fondo, ma che ho trovato di gran lunga più seducente di molti libri che mi hanno convinto maggiormente. Soprattutto per quella volontà di coinvolgere in una lettura attiva, pretendendo un’attenzione al di là dello scontato. Quest’architettura disegnata in vista della collaborazione, una collaborazione disorientante, è quel che rende il romanzo un vero rompicapo da cucirsi addosso, al di là di un’indagine poliziesca che è solo un pretesto per un’indagine meno logica ma ben più stringente.
Quel che parte da Malvasia
Malvasia, trasferitasi da poco in paese, viene trovata morta nel suo appartamento. L’indagine viene affidata al commissario Arena e coinvolge in particolar modo l’informatico Gippo. Da questo delitto il rifrangersi pulsante di chi è rimasto in vita, l’esistenza appena passata di Malvasia, in un componimento caotico di pezzi che non arrivano mai ad incastrarsi, schegge fragili di un quadro ontologicamente incompiuto. Un mischiarsi continuo di istanze, dove nessuna accusa può reggere ai fatti, ogni accusa è molteplice.
La morte di Malvasia è il grimaldello per scoperchiare la sofferenza di chi resta dopo la morte, soprattutto quando si tratta di un evento preparato da una lunga malattia. Morte, malattia e sesso sono il filtro dei pensieri che si affacciano in alternanza sulle pagine, rinnovando l’incapacità di venirne a capo pur girando sempre intorno, in una danza macabra e vitale. La morte improvvisa di Malvasia è il contraltare delle morti consumate al lume di un accudimento senza speranza, il controluce di una vita che non ha voluto piantare paletti dov’era previsto.
Il racconto scompagina piuttosto che svelare, ricostruisce senza pretendere soluzioni, annoda pensieri e sentimenti per restituirne la sofferenza. Così si sviluppa un giallo di anime, con un assassino aleatorio di cui si scandagliano le dinamiche insensate. I dubbi sono sempre di chi resta, la morte riguarda chi la impatta di lato, non chi la subisce, le sofferenze prolungate sono una lenta cancrena della memoria, il sesso è una variabile imprevedibile. Questo scritto è sfidante nei suoi ammiccamenti, non si riduce a condurre il gioco perché non ne detta le regole ma ne propone la suggestione.
Gilda Policastro – La parte di Malvasia – La nave di Teseo