Il mondo sul filo di Daniel F. Galouye ha un intreccio fantascientifico che si riscopre ancora in gran forma, perché la visionarietà non si concentra tanto sulle tecnologie futuristiche, mossa che tende sempre a invecchiare molto male, quanto sui concetti, su domande ben poste e analisi fondate.
Sprofondai di nuovo nella poltrona, confuso e affaticato. Gli scienziati avevano passato secoli a esaminare le rocce, a studiare le stelle, a dissotterrare fossili, a passare al setaccio la superficie della luna, e a confezionare nel modo migliore la loro teoria perfettamente logica secondo la quale questo mondo aveva cinque miliardi di anni. E invece avevano mancato il bersaglio quasi esattamente dello stesso numero di anni. Era una cosa ridicola in un senso cosmico.
Nel 1964 Daniel F. Galouye propose questo intreccio fantascientifico che, riproposto da Atlantide nel 2016, si riscopre ancora in gran forma, perché la visionarietà non si concentra tanto sulle tecnologie futuristiche, mossa che tende sempre a invecchiare molto male, quanto sui concetti, su domande ben poste e analisi fondate. In questo modo è riuscito a conservarsi attualissimo poiché si muove con grande efficacia tra quesiti filosofici molto profondi e affondi sulla società consumistica.
Ad aiutare il lettore odierno anche il taglio che l’autore dà al libro. Se è vero che il protagonista che narra in prima persona trova momenti di riflessione e citazioni che vanno a sottolineare dilemmi senza tempo, il ritmo è per la maggior parte del testo dettato dall’azione. Non si tratta di una tensione estrema, ma i fatti si susseguono senza sosta e fanno da trampolino alle elucubrazioni che, dal canto loro, continuano a rimescolarsi tenendo dietro a qualche nuova rivelazione. Non è nulla di trascendentale, ma il meccanismo funziona e, seppur prevedibile sotto alcuni aspetti, non perde di mordente.
Il fattore più interessante del congegno messo in piedi da Galouye è che, di fianco alle più palesi riflessioni tratteggiate dal protagonista, sorgono ad ondate altre riflessioni non del tutto dette ma accennate. Si tratta di un fiorire continuo di stimoli e spunti che trovano la ragione di formulazione nell’intreccio, non vengono setacciati come quelli del filone principale, ma non per questo risultano meno accattivanti. Ecco perché questo congegno funziona: è sfidante senza sosta, un continuo lancio di sfide al lettore seppur calibrato su un ritmo che non perde colpi.
Il protagonista è Douglas Hall, un esperto simulatore che porta a termine il lavoro del suo mentore su Simulacron-3, un ambiente appunto di simulazione della realtà progettato al servizio dell’imprenditore Horace P. Siskin. Attraverso piccoli indizi che si fanno sempre più pressanti, Douglas sospetta che la simulazione utilizzata nel suo progetto non sia l’unica in gioco, innescando un domino che rischia di avere conseguenze catastrofiche.
I macro-temi
Aveva ucciso – in modo malvagio. Non c’era stata traccia di compassione nel suo smaltimento di quegli analoghi che erano riusciti a vedere oltre l’illusione della realtà. E non aveva ucciso delle mere unità reazionali. Aveva assassinato selvaggiamente degli esseri umani. Poiché la consapevolezza di sé è l’unica misura dell’esistenza.
Il tema in primo piano è certamente quello riguardante la realtà vissuta nelle simulazioni. Che tipo di entità si muovono all’interno di mondi virtuali? Esiste davvero qualcuno che è solo una proiezione di circuiti programmati ad hoc? Douglas si muove tra le tante incognite che tali questioni sollevano, in un crescendo che lo porta alla consapevolezza che in fin dei conti l’esistenza non è altro che autocoscienza, a prescindere da qualsivoglia presunta oggettività del mondo.
Una consapevolezza scaturita anche dalla scelta della figlia del mentore, innamorata di Douglas (anche qui non in modo banale, ma a causa di un ulteriore cortocircuito emozionale), di abbandonare la presunta realtà per una vita più vera proprio lì dove non dovrebbe esserlo. Un moltiplicarsi di mondi che, in fin dei conti, si riduce ad uno solo: quello in cui si vive, a prescindere dal livello di derivazione, perché la derivazione non tocca l’esserci di chi lo vive.
L’altro grande tema è il motivo per cui viene costruito il simulatore. Nel mondo di Douglas esistono frotte di sondaggisti che interrogano la popolazione, costretta a rispondere, sui più svariati temi. Il simulatore punta a fare in un tempo molto ridotto il lavoro di queste persone: nel mondo virtuale possono essere imputati scenari per constatare le reazioni delle persone e così prevedere quelle di chi vive nel mondo reale.
Su questo terreno Galouye innesca un triplice gioco che si intreccia ed entra in contrasto. Da un lato ci sono gli scienziati che, pur sempre con un’etica tutta da ridisegnare, puntano a sfruttare le simulazioni per studi sociali. Siskin invece, da imprenditore, vuole gestire il simulatore a scopi commerciali, un sogno di onnipotenza capitalistica senza eguali: piazzare i prodotti con la sicurezza del successo. Si innesta poi il discorso politicoe sul potere, perché il simulatore può essere uno strumento formidabile per pilotare l’opinione pubblica.
Da questo punto di vista bisogna ammettere che la visionarietà dell’autore raggiunge l’apice. Ha davvero previsto i meccanismi che viviamo oggi. Ha certo sbagliato le modalità, per ora, ma ha immaginato uno scenario davvero attuale.
Altri temi
Aggiungo solo qualcuno dei temi meno appariscenti ma forse ancor più raffinati che Galouye sparge a piene mani lungo l’arco della vicenda. Non si tratta della spina dorsale del libro, ma la capacità di sorprendere ad ogni angolo rende il libro ancora più intrigante.
Douglas effettua molti ragionamenti filosofici innescati dai colpi di scena che si susseguono nella sua vita. Alla fine però, al di là di qualsiasi considerazione, è occupato da soluzioni estremamente pratiche, si muove per risolvere questioni, per scoprire retroscena, il pensiero scaturisce dalle azioni. Non solo, il moto perpetuo di Douglas nella vicenda è dettato da un attaccamento alla vita che si fa tanto più istintuale quanto più dovrebbe elevarsi a vette di astrazione.
Il mondo reale agisce all’interno del simulatore riprogrammando a piacimento, dopo la programmazione iniziale, per apportare piccole correzioni, pur nel mantenimento di una coerenza interna al mondo virtuale, senza la quale la simulazione salterebbe per aria. Ma i soggetti all’interno del mondo virtuale si rivelano autonomi, riuscendo addirittura a controllare il corso delle vicende meglio di quanto riescano a fare dall’esterno. Lo sviluppo delle soggettività interno al sistema crea un ambiente differente da quello desiderato dal deus ex machina, arrivando ad una profondità di manipolazione maggiore pur trovandosi da un punto di vista inferiore, o forse proprio per questo.
Ne cito solo un altro. Esiste, all’interno del libro, una declinazione molto particolare del doppio, perché, naturalmente, è giocato sulla virtualità. Non solo, ma il gioco del doppio conduce alla variabile umana che permette in qualche modo lo sviluppo di tutti i fatti. La condizione di onnipotenza dei creatori della simulazione, che permette un controllo molto stretto su quasi tutti gli elementi, viene annebbiata da una componente umana che soverchia l’inevitabilità, consentendo di spezzare catene logiche altrimenti inattaccabili.
Un libro la cui ristampa è una bella notizia, merita di circolare. Non è un libro perfetto, ma è davvero vulcanico nell’eruzione di spunti.
Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.