Milano rapisce

Milano Rapisce, la nostra intervista all’autore Matteo Speroni

Cinque o sei personaggi si ritrovano chiusi in altrettanti cellette costretti a comunicare solo attraverso un bizzarro interfono aleatorio e, volenti o nolenti, a rivivere la propria biografia. Come in un sorta di Dieci piccoli indiani 4.0, un sequestro nel bel mezzo della capitale morale d’Italia, si trasforma involontariamente in una seduta di psicoanalisi collettiva. Nel mezzo un agente compassato e amante dei posaceneri rastamorfici, indaga sull’anima sconosciuta della città. Un libro che cattura, perdonate il gioco di parole, e affama fino all’ultima pagina, grazie alla sapiente scrittura di Matteo Speroni, scrittore e giornalista alla sua quarta opera letteraria, che con questo libro ha saputo dosare informazioni e suspance come tutti i grandi autori di gialli e thriller. Come detto, Matteo Speroni che scrive di cronaca per il Corriere della sera, in precedenza ha pubblicato due romanzi, “I diavoli di via Padova” e “Brigate Nonni”, oltre ad una biografia a quattro mani, con Arnaldo Gesmundo, “Il ragazzo di via Padova. Vita avventurosa di Jess il bandito”, ma è con questo libro che si è calato nei meandri del thriller-psicologico, ambiente a cui di solito è più avvezza una letteratura meno legata alla nostro paese, escluso Carrisi naturalmente.

Invece gli ambienti cupi e virati al verde tipici del genere thriller in Milano rapisce stanno di fianco ai tram che passano da Cordusio e ai neri che spacciano a Turro, un mix che rendono questo libro una piccola gemma nel panorama.

Questo libro insolito, rivelatosi per me una piacevole scoperta, ce lo ha raccontato anche l’autore stesso rispondendo a qualche domanda. Naturalmente no spoiler, come piace a noi.

Milano Rapisce è un libro sicuramente molto diverso dai tuoi precedenti, come è nata l’idea da cui sei partito? Milano Rapisce” è un libro diverso dagli altri, un giallo, o meglio un thriller psicologico.  L’idea tematica nasce da una riflessione sul senso della giustizia, della vendetta e del riscatto. Non a caso è spesso citata l’”Orestea” di Eschilo. Ma su questo non voglio dire di più perché svelerei  troppo della trama. Per quanto riguarda l’ambientazione, la maggiore fonte di ispirazione è stata il film claustrofobico “The Cube” di Vincenzo Natali, del 1997

A muoversi nelle prime pagine del libro, senza svelare nulla, ci sono una decina di personaggi come sono nati?  I due personaggi principali, il commissario e il misterioso rapitore, sono puro frutto di fantasia. Per gli altri, i rapiti che si trovano prigionieri in diverse celle in un carcere del tutto “sui generis”, ho preso spunto da persone reali nella quali sono incappato durante la mia vita.

C’è tanta milano nella tua scrittura come ovvio, ma cosa rappresenta la città per dal punto di vista di uno scrittore? Milano, che è lo sfondo, o addirittura coprotagonista del libro, è una città interessantissima. Oggi è all’avanguardia, forse è l’unica metropoli europea in Italia. Ma allo stesso tempo conserva l’identità di un “paesone”. Insomma, non è Londra, Parigi o Berlino: la metropolitana di sera passa troppo di rado; gli stranieri sono ancora considerati, al meglio, “stranieri che vivono a Milano” e non semplicemente “milanesi”. In questa contraddizione, in questa tensione tra passato e futuro,  Milano, da un punto di vista letterario, è affascinante.

Milano si dice sempre sia la capitale morale della nazione, per quanto ManiPulite sia nata proprio qui, ma gli scrittori su tutti Scerbanenco ne hanno mostrato un cuore abbastanza nero. Qual è il vero volto di Milano secondo te?Milano ha tanti volti e, nel bene e nel male, arriva sempre per prima nella Storia: Tangentopoli, intesa come operazione di pulizia morale, è nata qui; il fascismo è nato qui, con i Fasci italiani di combattimento, in piazza San Sepolcro, nel 1919, ed è morto qui, in piazzale Loreto, nel 1945; il germe delle Brigate Rosse, il Collettivo politico metropolitano, ha origine a Milano, nel 1969; il “craxismo” è un fenomeno schiettamente milanese e il “berlusconismo” pure. E il “volto nero”, direi “noir” della città, in tutto ciò è sempre stato presente, pensiamo anche alla stagione dei gangster, gli anni Settanta, da Vallanzasca a Turatello.

Tu scrivi per il più importante quotidiano italiano come un tuo celebre collega Dino. Buzzati, che rapporto hai con l’autore del Deserto dei Tartari? Dino Buzzati ha narrato in modo magistrale l’aspetto “noir di Milano, basta leggere i suoi articoli sul “Corriere” nei quali, da cronista, ha raccontato i casi di “nera” più eclatanti, sempre però con un passo letterario. Credo che Buzzati sia stato il più grande interprete italiano della sintesi tra cronaca e letteratura, tra realtà e immaginazione.

In quale città che non sia Milano ambienteresti un tuo futuro romanzo? A Parigi. Ho già un’idea che prima o poi realizzerò.

Che libro consiglieresti ad un non milanese che vorrebbe conoscere la città? “Milano sconosciuta” del giornalista e scrittore Paolo Valera: una raccolta di straordinari “reportage” in forma letteraria, scritta nel 1879 e poi aggiornata fino al 1923, che esplora anche i bassifondi dell’epoca.

Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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