Intervista a César Brie: raccontando José Marià Arguedas

Intervista a César Brie: raccontando José Marià Arguedas

Ho contattato César Brie mentre si trovava nella Terra del Fuoco, Ushuaia per la precisione, e gli ho chiesto di raccontarmi di Arguedas, il più grande scrittore peruviano che un anno fa mi aveva consigliato di leggere. Nel frattempo io ho letto Fiumi Profondi e ho raccolto alcune domande. Ne è venuta fuori un’intervista meravigliosa tra antropologia, magia, il Papa argentino e soprattutto le pagine esoteriche di José Marià Arguedas.

Leggi qui la recensione di Fiumi profondi di José Marià Arguedas

Perché questo autore è così importante per la cultura sudamericana? Perché scrive bene, dice la verità e perché incarna in se stesso il dramma di molti latinoamericani: madre indigena, padre bianco, ha come madre lingua sia il quechua che lo spagnolo, vive dal di dentro le culture originarie e si forma nello studio e conoscenza della cultura creola portata dalla colonizzazione. I due mondi spesso in contrasto si uniscono in lui e la sua scrittura riflette questo.

In Arguedas si respira non solo letteratura ma anche antropologia e poesia. Di politica invece si può parlare per Arguedas? Credo di sì. C’è un libro, l’ultimo che scrive, che riflette la sua visione politica e anticipa con il sacrificio di  un eroe positivo qualcosa di quello che poi avverrà nella atroce guerra civile che devasterà il Perù con Sendero Luminoso. Il libro è Todas las Sangres e il protagonista se non ricordo male si chiama Rendón Wilka.La natura nel romanzo non è paesaggio o ambientazione ma sembra essere un vero e propio personaggio o meglio un coro da tragedia. È così? Arguedas non apparteneva al coro della letteratura latinoamericana del cosiddetto boom. Il suo approccio è più drammatico e profondo. Incarna nella sua vita il dramma del meticcio, dell’uomo nelle cui vene scorrono diverse linfe, sangue bianco e indigeno. È un coro tragico perché il mondo andino si esprime spesso in forma di coro.

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Il zumbayllu sembra essere un altro oggetto animato nella poetica di Arguedas, ci sai spiegare qualcosa di più su questo oggetto e in generale sul rapporto magico con le cose? Il zumbayllu  è diverse cose allo stesso tempo. In Arguedas è un trompo, un oggetto a forma di cono che si avvolge in una corda e che si lancia e fa girare sul pavimento e che “zumba” fa un rumore. Una trottola di cui bisogna essere maestri nell’atto di lanciarla affinché giri su se stessa.  La terminazione “illu”, in quechua è onomatopeica e rappresenta il suono, il vibrare delle ali di certi insetti o uccelli. Musica che scaturisce dal vibrare di oggetti lievi.
Quindi il zumbayllu ha musica, vibrazione, destrezza, leggerezza e tempo per essere osservato e ascoltato. Qualcosa che affascina e ipnotizza, comunicazione attraverso un oggetto con forze più vaste e importanti. Stupore, gioco.

In Fiumi profondi la contrapposizione tra la religiosità quechua e il cristianesimo è molto forte sopratutto nelle scene nel collegio, qual è il rapporto tra cristianesimo e riti antichi degli indigeni in Sudamerica? I missionari cercarono di catechizzare gli indigeni. Gli indigeni assorbirono molto dalla religione rapportandolo ai propri miti e credenze. Come in tutti i popoli, la figura del sacrificio, e della addolorata penetrò profondamente nell’animo indigeno.  Esistono sincretismi tra le forze della natura, buone o pericolose e il mondo cristiano. Ovviamente, un prete di collegio voleva combattere credenze che sembravano eretiche e i ragazzini mescolavano e prendevano da tutte queste fonti.  Pachamama, madre terra viene associata alla madonna, ma pacha è anche tempo. L’inferno è associato al ukupacha, il mondo di sotto, ma il mondo di sotto è molto più complesso dell’inferno cristiano. Gli indigeni sapevano che le forze pericolose non sono forze del male, ma forze della natura e quindi rispettandole e adorandole cercavano di farsele tornare amiche, di impedire loro di fare del male.

Un papa argentino è rivoluzionario secondo te? Se sì perché? No, non è rivoluzionario. La posizione di Papa Francesco nei confronti dei poveri è encomiabile, ma la posizione che la chiesa argentina ha assunto nel dramma dei desaparecidos è inaccettabile. Cerca una riconciliazione tra le parti, quando da un lato ci sono persone che cercano di sapere dove siano finiti i loro cari e dall’altro si trovano persone che mentono di fronte ai propri crimini. Non esiste riconciliazione se non esiste verità e giustizia. Il Papa dovrebbe riflettere su questo.

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Nei tuoi lavori, quanta importanza dai agli aspetti antropologici? Come cambia fare teatro in Sudamerica e in Europa? Quando ho lavorato in Bolivia il mio lavoro si è impregnato di quella cultura. Ora lavoro in un contesto diverso e il mio lavoro si impregna delle persone con cui ho a che fare. È sempre antropologia, studio degli esseri umani, conoscenza. Da non confondere con antropologia teatrale, termine coniato da Barba e che appartiene ad un’altra ricerca, non a uno stile come spesso si crede. Non mi riconosco in quel termine.

Ci racconti un aneddoto magico che ti è accaduto in Sudamerica facendo teatro? Sono stato guarito da un ulcera dallo sguardo di una indigena, per caso, in un villaggio tropicale del nord argentino. Una satiri (stregona) mi ha descritto in un’altra occasione che attraverso le mie scarpe una donna si vendicava di me. Poi ho capito che le scarpe che indossavo mi erano state regalate dalla mia ex, che all’epoca mi detestava. Casualità o no, la donna aveva azzeccato. Ho cambiato scarpe e ho smesso di avere dolori alle gambe.

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Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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