Metti che sei uno di quei pochi fortunati che ha ancora un contratto di lavoro. Ebbene, da adesso, se il tuo datore di lavoro decide di assegnarti una mansione di livello di inquadramento inferiore, lo può fare. Con buona pace dei diritti conquistati con anni di battaglie sindacali. Ma vediamola nel dettaglio
La riforma del lavoro targata Renzi introduce importanti modifiche anche in tema di “demansionamento”.
Lo schema del decreto legislativo di riordino dei contratti cambia l’articolo 13 dello statuto del Lavoratori del 1970, riscrivendo interamente l’articolo 2103 del codice civile.
La riforma prevede infatti che in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (che incidono sulla posizione del lavoratore) l’impresa, in via unilaterale, potrà intervenire anche in pejus sugli incarichi.
Che tradotto in parole più povere si legge: Si potrà quindi assegnare il lavoratore interessato “a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore”.
Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni inferiori (sempre nel limite di un livello sotto) possono essere previste dai contratti collettivi anche aziendali.
Traduzione: pronati e ringrazia!
Lo zuccherino previsto per il lavoratore è che egli avrà diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, ATTENZIONE PERO’: fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
La traduzione in questo caso la affidiamo alle parole del Ministro Poletti: “Se una persona fa il turnista e ha un’indennità di turno, se cambierà incarico non potrà portare con sé questa indennità”.
Le novità rispetto ad oggi sono evidenti.
Attualmente è infatti possibile modificare le mansioni solo entro i limiti dell’equivalenza professionale e, salvo ipotesi particolari ammesse dalla giurisprudenza (in sostanza solo per evitare un licenziamento o per ragioni di salute), non si può demansionare.
Tale divieto è assoluto poiché il codice civile dispone che “ogni patto contrario è nullo”.
Non solo: in caso di assegnazione temporanea a mansioni superiori se si superano i tre mesi di servizio scatta la promozione automatica e, quindi, aumenta la retribuzione e l’inquadramento diventa definitivo e irreversibile.
Con le nuove norme si cambia.
La modifica unilaterale delle mansioni è ammessa anche in presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale (e negli altri casi individuati dai contratti collettivi).
Attraverso “patti individuali assistiti” (sottoscritti in sede sindacale o presso le direzioni territoriali del lavoro) si potranno modificare le mansioni (e anche il livello di inquadramento e la relativa retribuzione) in tre specifici casi:
“Nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione” (traduzione brutale: per evitare il licenziamento)
Per acquisire “una diversa professionalità” (eh, sì, potrebbe sempre capitare di essere interessati ad acquisire professionalità di livello inferiore a quello che già si ha… il mondo è bello perché vario)
“Per migliorare le condizioni di vita”(e qui, francamente, non sappiamo che dire…)
La riforma interviene inoltre nelle ipotesi di assegnazioni a mansioni superiori: il lavoratore ha in questo caso diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva ma dopo sei mesi continuativi, non più tre mesi…(il lavoratore ringrazia, obbligarlo a percepire uno stipendio superiore? Ma scherziamo?)
Viene fatta salva – tuttavia – la diversa volontà del lavoratore e viene chiarito che l’assegnazione a mansione superiore diventa diritto acquisito “ove la medesima assegnazione non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali”
Traduzione: se sei stato assegnato a mansioni superiori rispetto al tuo livello per sostituire un tuo collega non avrai diritto a percepire la retribuzione stabilita per tale livello. E visto che sotto questa motivazione si potrebbe far passare una quantità infinita di casi, il lavoratore ringrazia perché può già immaginare come andrà a finire…
In relazione al trasferimento da un’unità produttiva a un’altra viene ribadito che non può scattare se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (il lavoratore ringrazia un’altra volta)
A questo punto, però, viene sinceramente da chiedersi se l’unico modo per far ripartire l’occupazione sia davvero quello di togliere i diritti, la cui conquista è costata non poca fatica, anziché migliorare la qualità del lavoro e far ripartire gli investimenti.
Ai posteri l’ardua sentenza, a noi lavoratori, invece, restano i ringraziamenti.