L’urlo e il Furore di William Faulkner racconta le vicissitudini di una famiglia decaduta del Sud degli Stati Uniti, nel periodo appena prima la Grande Crisi del 29. I fatti, raccontati da quattro narratori differenti, aprono non solo uno squarcio sulle disgrazie della famiglia Compson, ma anche sulla crisi dei valori che si verifica in tempi difficili e di cambiamento. Si tratta del libro più celebre dello scrittore americano, un capolavoro che accompagna il lettore obbligandolo a farsi strada nel buio seguendo tra piccoli squarci di luce
Il declino di una famiglia del Sud degli Stati Uniti
Innanzitutto la trama e la struttura del romanzo: come detto la vicenda ruota attorno al destino dei Compson, una famiglia del sud degli Stati uniti, in lento ma inesorabile declino nel periodo appena antecedente il 1929, anno della Grande Depressione. Il romanzo è suddiviso in quattro parti principali, ognuna con un suo narratore. La prima parte è datata 7 aprile 1928 e ospita il racconto di Benjamin, il figlio maggiore dei Compson affetto da un ritardo cognitivo, castrato in adolescenza in seguito a un episodio di violenza. La seconda parte ci riporta indietro di 18 anni (2 giugno 1910), ed è raccontata da Quentin il secondogenito della famiglia, un ragazzo dall’animo complesso e legato da un rapporto morboso con la sorella Caddy. La terza parte ci riporta al 1928, più precisamente il 6 aprile (un giorno prima rispetto alla prima parte) ed è raccontata dal fratello minore Jason, il più amato dalla madre Caroline, ma in realtà un uomo che non si fa scrupoli ad approfittarsi delle persone. L’ultima parte, infine, è datata 8 aprile 1928 ed è raccontata dalla prospettiva di Dilsey, la governante di colore della famiglia. A chiudere il libro un’appendice dal titolo: I Compson: 1699-1945 in cui viene ripercorsa la storia della famiglia di generazione in generazione.
Di cosa parla L’urlo e il Furore
L’urlo e il furore di William Faulkner è un libro difficile per molti, e molti motivi. In primis perché, pur svolgendosi in un lasso temporale vastissimo (18 anni), prende in considerazione solo quattro giorni e pochissimi avvenimenti, che hanno però violentemente condizionato la storia dei Compson. Il titolo riprende un passo del Macbeth di Shakespeare, una riflessione sulla vita, intesa come il racconto di un “idiota” intriso di urla e furore ma privo di reale significato.
La vita non è altro che un’ombra in cammino; un povero attore che s’agita e pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore e senza alcun significato
Lo scenario del libro è il declino sociale di una famiglia in uno dei periodi più delicati e drammatici della storia americana, ma in realtà, la vera protagonista è la crisi dei valori che la Grande Depressione portò con sé. Le “urla” apparentemente prive di significato citate nel titolo sono di Benjamin, l’unico “matto conclamato” del libro, eppure la follia alberga non solo in lui ma anche in tutti gli altri personaggi, a partire da Quentin le cui ombre di suicidio sono evidenti, fino a Jason che, nonostante possa sembrare il più dritto di tutti, è un uomo meschino che vive di piccoli soprusi e che altro non ha fatto nella vita che giustificare i suoi fallimenti con dei poco definiti obblighi familiari. I personaggi femminili sono limitati alla sola Caroline, madre assente, incapace di gestire i suoi figli, alla governante nera Dilsey, trattata da “negra” eppure unica donna giusta (forse perché essendo essa stessa una minoranza, ha il cuore e la sensibilità per comprendere) e infine a Candance, o Caddy che, pur non venendo mai chiamata in causa come parte narrante, è il filo conduttore di tutto: è pace e conforto per il povero Benjy, che si calma solo quando le è vicino, è l’amore incestuoso e deviato per Quentin ed è, infine, la “causa di tutti i mali” per Jason. La crisi dei Compson si rispecchia in tutto e per tutto in Caddy: ribelle fin da bambina, con il suo comportamento riesce a sovvertire l’ordine dei valori della tradizione. Caddy è in un certo senso la rappresentazione della vita che cambia per poter essere ancora viva, una forza inevitabile, come il destino, che travolge chiunque provi a fermarla. A essere sconfitti, in questo caso saranno i suoi fratelli: Benjamin che pur essendo l’unico ad amarla sinceramente, non ha i mezzi per tenerla a sé, ma soprattutto Quentin e Jason, con il primo che cercherà invano di proteggerla nascondendo dietro una facciata di amore fraterno la peggiore delle perversioni (che poi sfocerà in suicidio) e il secondo, che pur approfittando di lei (o meglio, dei suoi soldi), è in realtà il più dannato di tutti, perché confinato a difendere qualcosa che non esiste più.
Lo stile di Faulkner
Più o meno sviscerato il significato del romanzo, è giunto il momento di dirvi perché dovete leggerlo. È vero, l’ho detto già all’inizio, l’Urlo e il Furore è un romanzo difficile. Difficilissimo, tanto che ebbe persino poco successo quando venne pubblicato. Però, ve l’assicuro uno sforzo va fatto, perché quello che è considerato il più grande capolavoro di Faulkner è un libro che sa regalare sensazioni e stupore unici. La capacità dell’autore di rendere reale la follia di Benjamin, i flussi di coscienza di Quentin e la meschinità di Jason sono qualche cosa che sfiora il magico. La mancanza di punteggiatura, i periodi infiniti, le locuzioni ripetute – dico io (cit.)- tratteggiano in maniera esemplare le psicologie dei personaggi, in nessun momento “puzzano di artefatto” ma soprattutto ci obbligano a un’empatia pressoché costante. La scelta di offrire quattro punti di vista, ognuno evidentemente limitato e circoscritto al vissuto del personaggio (tra cui lo ripeto, un matto e un depresso, tanto per rendere difficili le cose) è da un lato estremamente pericolosa, ma se ti chiami Faulkner, anche vincente. Francamente non ricordo altri libri di cui ho agognato così tanto arrivare alla visione d’insieme, gioendo per ogni piccolo dettaglio compreso e giocando a cercare di scovare frammenti di realtà dietro a un racconto volutamente di parte, e per forza soggettivo e parziale.
Faulkner riesce a perpetuare questa magia per tutto il libro e con tutti i personaggi, ma è con il pensiero-non pensiero di Benjamin, che a mio parere raggiunge un livello inarrivabile. Lui, la cui storia mostra un sottile parallelismo con Cristo (anche cronologico visto che i suoi tre atti iniziano il venerdì santo e si concludono la domenica di Pasqua), nel suo apparente non sentire, nel suo apparente non provare, nel suo vivere inseguendo qualcosa che galleggia a metà tra il bisogno fisico e il desiderio tanto vorace quanto strozzato in gola, è un personaggio tratteggiato in maniera sublime. Dalla sua incapacità relazionale, dalla pacatezza interiore a cui fa da contraltare un’esteriorità ingestibile ed estenuante, emerge un bisogno d’amore così vero eppure così intangibile, che fidatevi, dovrete staccare gli occhi dalla pagina per non sentirvi male.
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