La vita di un uomo normale che scivola via sotto il peso dell’inedia prima, e delle scelte sbagliate poi. Chaze nel tratteggiare Cliff Wettermark riesce, con abilità e pulizia, a raccontare la semplicità a tratti feroce della caduta umana
Il racconto di un declino
Due lavori importanti sfuggiti via, una moglie con un problema ai denti, una cambiale in banca che non riesce a ripagare e un impiego che odia nel giornale di provincia. Ha smesso di bere, ma ne ha ancora tanta voglia. Ha smesso di fumare e pensa continuamente alle sigarette e, per finire, il cugino di sua moglie, a cui viene costantemente paragonato dalla suocera, è un uomo di successo, con macchinona e tutto il resto. Insomma, Cliff Wettermark non se la passa bene e se a questo ci aggiungiamo un probabile tumore tra il naso e l’occhio destro, il quadro è di quelli deprimenti.
Per di più, Wettermark è uno di quei falliti che hanno il tocco di rendere pesante e vischioso tutto quello che gli capita a tiro, arrivando a materializzare la sconfitta ancora prima di accorgersi di essersi spinto a un passo dal baratro.
Il punto di svolta in questo lento trascinarsi arriva quando il suo lavoro di reporter gli consente di rendersi conto quanto possa essere facile rapinare una banca e, da quel momento in poi, facile come le decisioni non prese, Cliff inizia a mettere in pratica il suo piano.
Questa, in sostanza, la trama (semplice) di un libro che in poco meno di 200 pagine riesce a disegnare un affresco di rara perfezione della (complicata) condizione umana, ponendo la lente sulle nostre debolezze, sul come, un’esistenza normale riesca a incanalare la sua rincorsa lungo un piano inclinato che diventa inarrestabile trampolino verso la fine.
Preciso e chirurgico (probabilmente i suoi anni da giornalista in questo hanno avuto un peso) Chaze è un osservatore dalla penna acuminata: mai sopra le righe, essenziale, anzi, a volte sembra quasi che la sua posizione nella storia sia quella un po’ sadica di chi guarda dibattersi un animale in difficoltà. E i suoi personaggi sono figli di questo stile. Wettermark, a guardarlo bene, è un uomo normale, con pensieri normali che non riesci né ad amare, né ad odiare. Le sue decisioni sono decisioni normali, che tutti (o quasi) prenderebbero, e la capacità di Chaze sta proprio nel rendere anche la più folle delle scelte (cioè quella di compiere una rapina) una soluzione talmente consequenziale agli eventi da apparire ovvia.
La vita di Wettermark se ci si pensa bene, è un po’ il distillato di un certo tipo di esistenza. Quel tipo di vita caratterizzato da delusioni, da fatica, da incapacità di comprendere il senso di tutto questo dimenarsi. Un tipo di vita in cui la via d’uscita, spesso, è talmente lontana che il lieto fine è semplicemente più improbabile di una rapina in banca. Chaze danza in questa condizione trascinando il lettore in un vortice vischioso, destinato a precipitare nel fondo della nostra coscienza in maniera lenta, ma inesorabile, come il residuo del vino agitato in una bottiglia. Nulla potrà salvare quest’uomo, e noi, pur sapendolo fin dall’inizio, e pur sapendo che basterebbe una sola scelta sensata perché Wettermark riesca a salvarsi, non possiamo fare altro che incassare il capitolo finale -feroce come un montante in pieno mento- con la stessa rassegnazione mista a sollievo di un pugile suonato, arrivato senza più forze alla quindicesima ripresa.
A riprova di quanto mi abbia colpito la scrittura di Chaze termino con una citazione (clicca qui per altre citazioni) di quelle da sottolineare con mille colpi di matita: “Starsene da soli è una faccenda delicata, l’intimità va calibrata in modo così fragile che – anche se uno l’ha desiderata – quando ne hai anche appena un poco di più di quello che ti serve, non è più affatto intimità. Non è più un lusso. Diventa solitudine, e la solitudine non è in alcun modo simile all’intimità, sebbene l’una e l’altra siano fatte della stessa sostanza.”
Elliott Chaze – La fine di Wettermark – Mattioli1885