Vanilla Scent – Stefano Gianuario

Vanilla Scent, di Stefano Gianuario, ha una visione carnale del mondo. Un libro in cui sono presenti alcol e donne, ma non c’entrano l’alcol e le donne, il fulcro del discorso è la ricerca e l’analisi di quello che accade in una giornata comune nell’epoca del curriculum digitale.

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Vanilla Scent, un inno alla vita nel bene e nel male

Stefano Gianuario è una figura che potresti incontrare in un bar di Berlino una notte e passarci la serata a bere whisky, facendoci mattina senza neanche scambiarci il numero di telefono. Potrebbe essere l’impenitente avventore di un bar a cui raccontare tutta la tua vita in una notte per colpa di qualche shot in più. Perché? Perché lui ti ascolterebbe e saprebbe sottolineare i momenti più bassi e più eclatanti della tua esistenza con un brindisi.
Per questa ragione il suo romanzo non poteva che piacermi, Vanilla Scent è sopratutto un inno alla vita nel bene e nel male. Un invito al romanticismo post-moderno, una ode al saper accettare la vita per quello che è: un gran casino stipato fra un’ubriacatura di gioia e una di rum, fra un’ubriacatura di infelicità e una di realtà.

Un giovane giornalista inghiottito

Il protagonista è un giovane ma non più giovanissimo, almeno secondo i criteri novecenteschi di gioventù, che cerca di affermarsi nel mondo del lavoro. Quale lavoro? Quello del giornalista, un uomo cioè che campa con le sue parole scritte e le sue immagini catastrofiche stampate nella testa. Il problema è che ad ogni colloquio di lavoro succede qualcosa che arriva da dentro e che brucia. Inconscio? Istinto? Decidetelo voi mentre leggete il libro, quello che ho capito io e che al di là della definizione è chiarissimo il concetto: un grande senso di vanità percepito e vissuto. Un buco che non si distingue, ma che inghiotte.

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La tensione di non essere nel posto giusto nel momento giusto

In tutto questo roteare della società iper-moderna c’è l’incontro con l’altro sesso, difficile chiamarlo amore. Chiamiamolo incontro lasciando che la sfumatura semantica vada a coprire l’arco di senso che va dall’incontro pugilistico al metafisico accoppiamento fra due animeSì, perché a mio avviso c’è una tensione che pervade tutto il libro e che divora il protagonista, la tensione di non essere nel posto giusto nel momento giusto e, forse, di non stare cercando neanche la cosa giusta.
Se per certi versi la narrazione, in alcuni momenti puramente cronologica, ricorda l’atarassia di una certa scuola esistenzialista francese, dall’altra parte troviamo alcune suggestioni figlie della letteratura americana che va Bukowski a Kerouac, citati non a caso proprio per la loro ricerca mistica attraverso l’errare.
Qui non c’entra l’alcol e non c’entrano le donne, il fulcro del discorso è la ricerca e l’analisi di quello che accade in una giornata comune nell’epoca del curriculum digitale. 

Cos’è strano?

Il libro si apre con una riflessione su cosa sia strano, su cosa voglia dire essere strano. Perfetto, miglior incipit non poteva esserci per un libro che è soprattutto osservazione di ciò che accade all’esterno attraverso l’interno di una coscienza, di un’anima.
Il libro è puntellato di canzoni e musicisti che avrebbero potuto accompagnare il protagonista durante le sue avventure, come se avessimo accesso alle sue cuffiette, questo aiuta ad aumentare l’intimità con lo scrittore e con la sua visione davvero “carnale” del mondo.

Un ottimo inizio per uno scrittore che ci auguriamo di riavere presto su questa rubrica.

Stefano Gianuario – Vanilla Scent  – Robin

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Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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