Non basterebbe questa piccola rubrica a raccontarvi chi è Derrida dettagliatamente perciò meglio che ricorriate a Wikipedia per biografia ed informazioni generali. Quello che invece vorrei raccontarvi è di un libro magico, simile alle vecchie scatoline piene di pietre delle maghe o agli scrigni coperti di ragnatele appartenuti a pirati e regine, magari dimenticati in qualche soffitta.
Là vi è la cenere
Ciò che resta del fuoco di Derrida è un piccolo gioiello che se avrete la fortuna di incontrare vi porterà per qualche giorno in un magico mondo di nostalgia e riflessione, di lucidità febbrile ed esistenzialismo che conserverete dentro di voi come una porta nascosta in un giardino. Il dedalo che disegna Derrida parte da una frase “il y a là cendre” – là vi è la cenere – frase che chiude Dissémination altro libro del filosofo francese.
Da questa frase e sopratutto dall’osservazione che questa frase non chiude una discussione ma semmai apre una frattura nel pensiero, apre all’interpretazione, parte una collana di parole che cercano di trovare risposte e al contempo di allontanarsi nella significazione di ogni singolo vocabolo.
La cenere è qualcosa che vediamo che tocchiamo di cui possiamo dialogare ma che immediatamente è il rimando a qualcosa che è stato, già accaduto, già scomparso, già superato. Eppure é li, la cenere è simbolo e oggetto.
“E quanto la parola cenere mi piace immaginare che essa stessa sia davvero una cenere, nel senso di qualcosa che fu. Lontanissima dal passato, memoria perduta per tutto ciò che non appartiene più al qui. Di conseguenza la frase avrebbe inteso significare: la cenere non è più qui. Ma è mai stata qui?”
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La parola e i suoi rimandi
Qui parte una continua investigazione della parola e dei suoi rimandi. “Cenere” e “fuoco” diventano due categorie fisiche e quindi temporali. Derrida quindi mostra la potenza dinamica della frase “vi è la cenere” nel suo dichiararsi e nel suo agire a memoria del fuoco che c’è stato e che ora si è trasformato. In un continuo gioco di rimandi, di passi avanti e indietro senza soluzione di continuità Derrida ci porta al senso senza che mai veramente ci spieghi cosa stia cercando.
Le critiche
La critica principale mossa al filosofo, nato in Algeria da famiglia ebraica, fu sempre la solita: quello di essere poco chiaro nel suo obiettivo di ricerca e di rimanere sospeso in un grande gioco simile ad una ragnatela. La stessa critica del resto era stata mossa in anni diversi ad Hegel, Heidegger e molti altri filosofi che uscivano dall’esposizione filosofica per avvicinarsi ad altri generi letterari, critica che ha tanto avuto successo quanto la fama di questi autori presso gli studenti universitari che intravedevano (e intravedono) in questa lingua oscura e lisergica una via alla conoscenza ancora più diretta.
La magia di un viaggio di cui non si conosce il motivo
Ma noi che non siamo studenti di filosofia e che esami non dobbiamo darne, possiamo goderci questo testo di Derrida come un splendido ibrido che ci farà scoprire un angolo del pensiero che non abitualmente frequentiamo.
La magia di Ciò che resta del fuoco è proprio questo viaggio di cui non si conosce il motivo per cui vada iniziato e neanche bene il motivo per cui vada proseguito, ma una volta accettate le regole d’ingaggio non riusciremo più a smettere di addentrarci nelle catene di parole che Derida fa ruotare intorno alle nostre sinapsi.
Che Derrida volesse scrivere un’opera ontologica ne dubito molto, forse come nello spirito della sua filosofia in generale, voleva de-costruire l’ontologia, mostrandone il lato oscuro, la parte mancante.
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L’edizione
Un ultimo appunto su questo meraviglioso libro va fatto alla bella edizione della casa editrice SE che da anni si occupa con dovizia e qualità di ripescare piccole perle di filosofia, critica letteraria, saggistica e una bella collezione di classici dell’erotismo, stampando libri eleganti che sono già in sé pregevoli.
Nel caso di Ciò che resta del fuoco potrete apprezzare, oltre alla confezione splendida del libro, un preziosissimo testo in francese che vi regalerà la possibilità di lasciarvi cullare dalle parole in lingua originale come predisposte nello spazio da Derrida stesso. La lettura in francese, consigliata anche se non siete padroni della lingua, è un modo importante di capire la struttura di questo libro che gioca sul significato cronologico delle parole nel loro cadere nell’orecchio (meglio nella mente) del lettore quanto sul loro contenuto.
Nelle ultime pagine è Derrida stesso a regalarci una magnifica interpretazione del suo scritto, lasciandoci con delle parole magnifiche: “capisco benissimo, ancora un po’ d’orecchio per la fiamma, anche se la cenere e silenziosa, è come se bruciasse della carta distanza, con una lente: concentrazione di luce a forza di vedere per non vedere, scrivendo nella passione del non-sapere piuttosto che in quella del segreto.”
Jacques Derrida, Ciò che resta del fuoco, SE
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Un commento
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