Un uomo che dorme di Georges Perec – Dimenticatevi le azioni travolgenti dei grandi libri in cui si narrano di complotti imperiali e chiese che bruciano. Scordatevi i grandi dibattiti interiori tipici di una certa letteratura morale. Non provate nemmeno a paragonare il libro di cui vi parlerò con un giallo o un thriller.
L’uomo che dorme di Georges Perec è un esperimento sull’atarassia, sulla mancanza di dolore come ricerca della felicità. Concetto caro a Democrito, l’atarassia in Georges Perec diventa l’inabissarsi profondo di un giovane universitario verso la propria sconfinata mancanza di orizzonti. Attenzione, troppo facile dire che preferite passare le vostre serate con Moby Dick in mano inseguendo la balena bianca, che vi sembra un po’ lentino un libro che parte da questi presupposti, ma attenzione vi sbagliereste. O almeno, forse.
Ci sono tante ragioni per cui si leggono libri e ci sono tante ragioni per cui non si leggono.
Per apprezzare L’uomo che dorme vi servono alcuni piccoli chiarimenti.
Perec faceva parte della corrente OuLiPo, ovvero una scuola a cui facevano riferimento molto scrittori importanti tra cui Queneau e Calvino in Italia e che prevedeva alcune costrizioni stilistiche a cui far sottostare la propria scrittura. Il risultato di tale lavoro era la produzione di romanzi dal sapore scientifico, quasi delle effemeridi in cui si raccontava lo sviluppo o la costruzione di una storia attraverso elenchi, cataloghi o ancora vere e proprie sfide con l’intelligibilità. La scomparsa – sempre di Perec è un esempio estremo di questa scuola essendo scritto tutto senza la lettera “e”. Detto questo in Perec l’amore per la sfida linguistica, per il raffinato gioco di superare limiti autoimposti alla propria scrittura si trasforma in molti casi in espedienti che raccontano con ancora maggiore precisione l’angoscia dell’uomo moderno o la sua sfiducia nel progresso (se vi interessa maggiormente l’angoscia sociale proto-capitalista leggete Le cose).
Come dire raccontare la vita spogliandola di ogni poesia e di ogni lirismo, togliendo ogni fronzolo, rivela la vita nuda per quello che è: puro essere ed esser-ci tanto per citare il Professor Heidegger.
Ma torniamo a L’uomo che dorme “Hai venticinque anni e ventinove denti, tre camicie e otto calzini, qualche libro che non leggi più e qualche disco che non ascolti più.”
Ovvero come far calare in due righe il lettore in una gabbia perfetta che racconta dove siamo e cosa stiamo facendo. Da questo punto in poi Gerorge Perec racconta la quotidianità di un giovane “annoiato” che aspetta la vita lasciandosela cadere addosso senza cercarla, senza rincorrerla, semplicemente lasciandosi attraversare da essa.
Ma Perec non mette solo limiti alle proprie parole e alle proprie descrizioni, decidei di occultare la visuale o meglio di guardare la realtà da un solo stretto punto. La realtà si lascia cogliere qui ancora più nuda quasi in modo pornografico. Così ne L’uomo che dorme il giovane protagonista viene raccontato in seconda persona e questa scelta stilistica già ci racconta molto. Descrivere qualcuno come sempre presente nel testo e confrontarlo, paragonarlo continuamente, già ci regala la figura di qualcuno che sta scomparendo, qualcuno che diventa un fantasma: presente ma assente contemporaneamente.
Uno scomparso, appunto.
Tutto diventa inerzia contro cui si scagliano le giornate e il tempo, l’assoluzione non esiste da questa angoscia. Allora arriva l’auto esclusione attraverso il sonno, il perdersi in un giornale, l’ascoltare ossessivamente un notiziario, il camminare in campagna e in città. Scoprirete una cosa strana che funziona in biologia e perfettamente anche in letteratura: dall’incredibilmente piccolo si scopre l’incredibilmente grande.
Perec raccontando piccole cose che accadono senza che nessuno le registri, in realtà racconta il grande gioco del mondo che va avanti e si ricrea ogni giorno anche senza che nessuno l’osservi. Che rumore fa un albero che cade dove nessuno può sentirlo? Questo vecchio esperimento filosofico, potrebbe riassumere il gioco a cui ci obbliga Perec: pensare alla vita come una serie di cose di cui non controlliamo quasi nulla ma che comunque accadono e ci trascinano in quel gorgo splendido chiamata vita.