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Tumorati di Dio – Fabio Paolo Costanza

Tumorati di Dio di Fabio Paolo Costanza è un romanzo che colpisce per la schiettezza ed anche per la capacità di riportare al centro della narrazione il tema della malattia e della morte, inserendola con semplicità nel naturale processo vitale di tutti noi.

Tumorati di Dio di Fabio Paolo Costanza

Rispondere alla domanda sul perché siamo qui, fuori dalle ideologie e dalle religioni escatologiche, è difficile senza ricadere nel paradigma assurdo di Martin Heiddeger “essere per la morte”. Eppure, abbandonata ogni tentazione ideologica e ogni credenza ultraterrena, sembra essere questa la fredda realtà dell’esistenza. Per assurdo, in una società in cui a fatica ci si costruisce identità e ruolo sociale, la malattia e la morte fungono da archivio sociale.

Da qui partono i Tumorati di Dio, una classe sociale speciale a cui vengono annoverati coloro che afflitti dalla patologia finiscono per diventare portatori nella società del ruolo di malati e quindi di futuri morti. In una società che ha eliminato la possibilità di un ruolo per la morte, si ritrova invece lo stato di malato come uno status riconoscibile e da cui guardarsi. Da qui parte Fabio Paolo Costanza per il suo primo romanzo, un libro che gioca col cinismo e la riflessione immergendo uno sguardo diverso nella nostra realtà.

Il racconto parte quando Gabriele all’età di trentasei anni scopre di avere un tumore che lo sta riconducendo alla irrevocabile posizione di malato terminale. La scoperta è quasi casuale, ma non del tutto senza ripercussioni nella realtà del protagonista. Il primo segno di squilibrio è il fatto stesso che Gabriele decida di scrivere un memoir alle 6.30 di mattina, ripercorrendo la sua vita, per trovare appigli, ancore di esistenza.

Il protagonista, strano a dirsi, non ha ripercorso la sua vita durante uno degli incidenti dovuto ai primi scompensi della malattia, non durante la morte della madre o altre assenze, ma in un momento di vuoto totale, in cui forse ai pensieri personali si associano pensieri più universali, complessi, sulla nostra società e su cosa stiamo diventando.

Tumorati di Dio

Mancanze

Così Gabriele racconta di suo fratello Paolo che non c’è, che quando c’era non era nessuno e che ora che è lontanissimo ed è l’unico suo amico. Racconta ancora di un padre e una madre troppo timidi per esistere, troppo fragili, che forse non colgono neanche la profondità della parola esistere, preoccupati troppo dal dover stare in qualche modo al mondo. Le pagine dedicate alla descrizione della quotidianità della famiglia sono precise e acute, arrivando a dare il senso di smarrimento che provano molti adulti nel diventare grandi per forza, al di là della propria volontà.

Poi c’è Johanna, un amore finito proprio in quell’attimo di vita in cui ci si può permettere di progettare il futuro senza doversi incupire. Un amore che vive per assenza più che per ricordo tra le pieghe del talamo di Gabriele.

In tutta questa realtà a predominare è la parola assenza, mancanza di una posizione riconoscibile nel mondo. Mancanza che, come sentenziano ad un Gabriele bambino sotto l’ombrellone, non è una malattia, perché “È sano come un pesce il bambino, evidentemente gli piaceranno le astrazioni”.

Fabio Paolo Costanza riesce sincreticamente a muoversi tra filosofia e romanzo, in un rimando tra il personale e l’universale costante e continuo. Si colgono tra le pagine spunti che citano grandi autori, di cui per certo Costanza è stato attento lettore.

Tumorati di Dio è un romanzo che colpisce per la schiettezza ed anche per la capacità di riportare al centro della narrazione il tema della malattia e della morte, inserendola con semplicità nel naturale processo vitale di tutti noi.

Fabio Paolo Costanza Tumorati di Dio – Bookabook

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Su Andrea Labanca

Andrea Labanca cantautore, laureato in filosofia e performer, ha scritto tre album impregnati di letteratura. "I Pesci ci osservano" disco della settimana di Fahrenheit Rai RadioTre e "Carrozzeria Lacan" ospitato a Sanremo dal Premio Tenco. Ha collaborato con diversi scrittori (tra cui Aldo Nove e Livia Grossi) e ha lavorato come attore per Tino Seghal. Quest’anno è uscito il suo terzo album, “Per non tornare”, racconto noir-poetico in chiave elettro-vintage.

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