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Città di Dio – Paulo Lins

Città di Dio di Paulo Lins ha ritmo è mozzafiato, è un continuo inseguimento dei vari personaggi che si alternano in modo compulsivo, un’unica sequenza (in realtà tre, come i capitoli) che rende l’idea di una macabra giostra che non si ferma, continuando a mietere vittime una dietro l’altra, lasciando pochissimo spazio al respiro, alle considerazioni.

Città di Dio di Paulo Lins

Cidade de Deus diede la sua voce ai misteri delle grandi case spettrali, decimò la fauna e la flora, cambiò i connotati al Piccolo Portogallo e ribattezzò gli acquitrini: Lassù, Laggiù, Là Sotto, Là dall’Altra Parte del Fiume e Gli Appartamenti.
Ancor oggi, il cielo si tinge di azzurro e di stelle il mondo, le foreste tingono di verde la terra, le nuvole schiariscono la vista e gli uomini innovano tingendo di rossi il fiume. Qui, adesso, una favela, la neo favela, di cemento, armata di spacchi e di spacci, sinistri silenzi, strilli disperati nelle corse dei vicoli e nelle indecisioni dei crocicchi.

Paulo Lins scrive nel 1997 questo romanzo tratto da fatti reali, in particolare da un lavoro effettuato da lui stesso sul campo. Di solito, in questi casi, si dice che i fatti vengono romanzati, e di certo è tecnicamente vero anche in questo caso, ma la scrittura di Lins ha la forza di rendere i fatti talmente vividi da risultarne una lettura naturale della realtà, da sembrare senza filtri. Naturalmente è bravissimo l’autore a non far apparire i filtri, a incarnare le vicende nella pelle dei protagonisti, stagliando il contesto del quartiere da qualsiasi cornice predefinita.

La trama di per sé è molto semplice: attraverso le storie di Cabeleira, Bené e Zé Pequeno si assiste alla spirale di violenza che ha attanagliato la favela nominata Città di Dio. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, il quartiere è risultato ostaggio di una guerra tra bande, per lo più di ragazzini, che hanno dato vita ad un vero inferno in terra. I morti nelle pagine non si contano, tra sparatorie ed esecuzioni, poliziotti corrotti e assassini, alleanze e tradimenti, alcol e droghe, in un vortice che trascina un’umanità ammaccata e derelitta, spesso non appassita perché mai sbocciata.

Il ritmo è mozzafiato, un continuo inseguimento dei vari personaggi che si alternano in modo compulsivo, un’unica sequenza (in realtà tre, come i capitoli) che rende l’idea di una macabra giostra che non si ferma, continuando a mietere vittime una dietro l’altra, lasciando pochissimo spazio al respiro, alle considerazioni.

La penna di Lins, salvo qualche raro punto, per altro molto poetico, è di una freddezza disarmante, ma asseconda proprio la freddezza dei personaggi verso la vita, la raggelante naturalezza con cui si dirigono verso il baratro. Un modo di raccontare che dà solo l’impressione di riportare una mera sequenza di fatti, che in realtà sa impregnare il lettore del clima respirato alle latitudini della disperazione. Non indugia mai nel pietismo, non desidera la compassione del lettore, piuttosto vuole attaccargli addosso la mostruosità di quel vissuto, rendendolo attendibile e vivo.

città di dio

Quanto poco conta una vita

[…] La parola nasce nel pensiero, si stacca dalle labbra, prende anima nelle orecchie, e, a volte, questa magia sonora non salta in bocca perché è ingoiata con la saliva. Massacrata nello stomaco con riso e fagioli, la quasi parola è defecata invece di essere detta.
Non si fa bella la favella nella favela. Parlottola.

I temi coinvolti da un libro del genere sono davvero molti, ne riporto qualcuno tra quelli che più mi hanno colpito. Il primo fattore che salta agli occhi è lo scarso valore, spesso e volentieri nullo, che i protagonisti tributano alla vita umana. Al di là delle lotte per il potere contro bande rivali o all’interno di uno stesso gruppo, dove gli omicidi hanno perlomeno uno scopo, si assiste ad una serie infinita di esecuzioni immotivate, derivanti da impulsi o addirittura dall’ebrezza derivata dal togliere una vita. Situazione che si abbina ad una facilità di stupro che non vede nei corpi altrui altro che una vetrina da infrangere. La vita non appartiene a nessuno, né alle vittime né agli assassini, è semplicemente spogliata da ogni sacralità, è un lusso che ti puoi permettere solo per caso.

Questa situazione è ancora più tragica se si pensa che la maggior parte degli attori in gioco è minorenne, spesso sotto i dieci anni. Va da sé che la situazione in cui crescono questi ragazzi è il punto di partenza che li getta in fondo alla scala sociale. Anche perché appartengono alla popolazione nera del Brasile, quella discriminata a partire dalle forze dell’ordine. Ad un certo punto entrano nelle bande anche alcuni bianchi, affascinati dall’aura maledetta dei banditi, ma per loro è un incastro da cui possono uscire, perché ad attenderli non c’è il vuoto di futuro che vedono i neri. Sembra quasi che la malavita sia il gioco che questi ragazzi fanno per mancanza di migliori, un gioco di ruolo che li fa sentire importanti, dona loro quell’identità che hanno l’infinita paura di non veder riconosciuta.

Spesso i personaggi si rendono conto che la vita dei banditi è oltremodo rischiosa, che il pericolo di non uscirne interi è fin troppo imminente. Infatti il sogno è quello di accumulare un bel gruzzolo di soldi per potersene andare, aprire una fattoria e costruirsi una famiglia. A tratti si affacciano sogni borghesi che sembrano in grande contrato con il contesto che contribuiscono a creare. Il punto è che ai loro occhi la via per quei sogni passa solo attraverso il crimine, il loro orizzonte è offuscato dalle impossibilità. Vedono le persone che fanno lavori onesti, ma sono tutti pagati poco e conducono vite misere. Il paradosso è che avrebbero anche davanti agli occhi esempi diversi, ma gettati in una cornice corrosiva che avvelena le intenzioni.

Ci sarebbero tanti altri temi che questo libro piazza davanti agli occhi in modo efficace, io mi fermo, ma quella che Paulo Lins regala al lettore è una preziosa testimonianza letteraria.

Paulo Lins- Città di DioMondadori
Traduzione: Andrea Ciacchi

Voto - 85%

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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