In AAbbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson La raffinatezza della penna dell’autrice ci fa sognare e inquietare allo stesso tempo, grazie anche ai profili disegnati all’interno del libro. Si tratta di un racconto gotico ancor prima che horror che appassiona e incanta sempre sull’orlo della paura e della angoscia.
Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson
Recentemente tornata in auge grazie alla serie televisiva, prodotta da Netflix, Hill House, Shirley Jackson è un punto fermo per gli appassionati del genere gotico e horror. Ma definire Shirley Jackson semplicemente una scrittrice horror sarebbe riduttivo, deviante rispetto alla vastità di colori che la sua scrittura è in grado di regalare.
Eppure il ruolo di colonna fondante del genere le è riconosciuto unanimemente da appassionati e scrittori, fra cui si annovera il parere di Stephen King che definì la Jackson una scrittrice “che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”.
E proprio questa definizione di Stephen King apre ad alcune annotazioni importanti per chi decide di avvicinarsi a questa straordinaria scrittrice e, in modo particolare, al libro di cui oggi ci occupiamo.
In questo romanzo del 1962 troviamo esattamente tutte le caratteristiche che hanno reso Shirley Jackson capostipite e allo stesso tempo caso a sé del genere horror.
In una casa di campagna facciamo conoscenza della piccola Mary Katherine Blackood che si presenta da subito come una ragazza “speciale”.
“Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, ma mi sono dovuto accontentare… Detesto lavarmi, e i cani, il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Costance, Riccardo Cuor di Leone, e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.”
Merricat, come è chiamata all’interno del libro, ha una sorella, Costance, che bada e lei e la isola dal mondo esterno grazie ad una casa splendida in cui le due si sono rinchiuse, insieme ad uno zio invalido, dopo la morte di tutto il resto della famiglia.
La vita scorre serena in un mondo parallelo, lontano dal resto del paese che indica Costance come una megera e tutte e due le sorelle come delle svitate. Costance ha subito un processo per omicidio da cui è stata assolta, ma la diffidenza o in qualche caso vera e propria paura da parte della gente del paese non si sono mai sopite.
Lo zio Julian, invalido e malato, tiene una sorta di diario delle vicissitudini della famiglia Blackwood, ma nella sua ricostruzione ci sono molti buchi, dovuti ad una vista selettiva di ciò che interessa al soggetto.
Le giornate sono scandite da grandi passeggiate, chiacchierate con il gatto Jones (sì, avete capito bene) e pranzi e cene raffinatissimi. La storia delle due sorelle, già di per sé inquietante, sì aprirà nuovamente all’arrivo di un estraneo, un cugino di famiglia venuto ad aiutare Costance nella gestione della casa. Il suo arrivo scatenerà uno sconvolgimento molto grande nella casa e nei rapporti fra i tre abitanti, svelando dettegli di ogni personaggio, prima che la catastrofe abbia inizio.
Racconto gotico
La raffinatezza della penna di Shirley Jackson ci fa sognare e inquietare allo stesso tempo, grazie anche ai profili disegnati all’interno del racconto. Costance con la sua pacatezza e la sua accusa di omicidio, Merricat con la sua morbosa passione per i veleni naturali, lo zio Julian che non vede i vivi ma conosce i morti, sono tre figure che nel libro emergono lentamente nella loro complessità dando opportunità al lettore di cambiare almeno cinque o sei volte idea su di loro.
Anche la trama del romanzo, seppur priva di colpi di scena eclatanti, si snoda con parsimonia, tenendoci attaccati fino all’ultima pagina alla vita di due sorelle magnificamente pazze.
Shirley Jackson, con la sua sapienza di grande burattinaia, fa muovere la storia sempre per piccoli salti, inserendo particolari apparentemente ininfluenti ma che si riveleranno tracce per completare la storia. Si tratta di un racconto gotico ancor prima che horror che appassiona e incanta sempre sull’orlo della paura e della angoscia.
Anche se questa volta la paura non è quella raccontata dai protagonisti, bensì quella percepita dai pregiudizi delle persone che stanno vicino alle sorelle Blackwood. Ma poi saranno solo pregiudizi?
Shirley Jackson – Abbiamo sempre vissuto nel castello – Adelphi
Traduzione: Monica Pareschi
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