WTA Finals di Singapore, il torneo anomalo che chiude la lunga stagione. Trionfa Agnieszka Radwanska perdendo due incontri nel round-robin e battendo in finale Petra Kvitova, una vittoria inaspettata sia per l’inizio di stagione disastroso sia in senso assoluto.
Il mio nickname (agafan) la dice lunga su cosa troverete in questo articolo, quindi se siete tra quelli che considerano Agnieszka Radwanska una pallettara non continuate, in alternativa andate direttamente ad inserire un commento negativo e di protesta contro l’autore.
Le WTA Finals sono uniche nel loro genere: le disputano le migliori otto della stagione e sono strutturate in due gironi da quattro giocatrici. Questo permette, a differenze di tutti gli altri tornei, di qualificarsi pur non vincendo tutti gli incontri, cosa per molti inconcepibile. Radwanska inoltre è la prima vincitrice della storia ad aver perso ben due incontri nel girone, qualificandosi per la differenza set, inconcepibile all’ennesima potenza.
A dire il vero, per una volta nell’anno, non trovo la formula del torneo impresentabile, anzi concede quella particolarità ad un torneo già unico di suo, vedendo ai nastri di partenza solo otto giocatrici. Se devono creare un evento di una settimana con otto elementi non possono mica permettersi il dentro o fuori. Aumentare le partecipanti? Lo renderebbe meno esclusivo e, forse, meno importante. Al di là delle personali considerazioni, si gioca secondo regolamento, quindi se Radwanska ha passato i gironi con due sconfitte non lo ha fatto in modo immeritato, evidentemente le altre due hanno meritato meno di lei. La buona Pennetta l’ha battuta, ma si è fatta sconfiggere in due set negli altri due incontri, meritava di passare al posto della giocatrice che ha sconfitto? Teoria bizzarra, fatte le regole si giochi secondo quanto stabilito, meriti e demeriti vanno distribuiti secondo il canovaccio, non secondo le nostre preferenze.
Edizione particolare quella di quest’anno, mancava Serena Williams, la numero uno e vincitrice di due tre slam su quattro. Ci fosse stata lei… Ma non c’era, ha deciso lei di non esserci, distrutta dopo il mancato Grande slam. Se ci fosse stata, nelle condizioni di regina non fino in fondo come avrebbe voluto, avrebbe vinto senza problemi, avrebbe giocato il suo solito tennis? Ma al di là di questo, Serena ha sfiorato il Grande slam quest’anno, non è che tutti gli anni vince tre slam, non è invincibile è solo la più forte. E ancora, si giocano i tornei contro le avversarie presenti, non si può giocare contro chi non c’è, contro un’assenza si può solo perdere mai vincere. Serenona ha voluto far vacanza, speriamo si sia divertita.
Veniamo al tennis giocato. Io non sono riuscito a vedere tutti i match, mi sono gustato quello con Sharapova, con Halep, con Muguruza e l’ultimo set della finale con Kvitova. Diciamo che un’idea me la sono fatta. Quale? Quello di un trionfo meritatissimo, né più né meno. Inutile nascondere che passare il girone con due sconfitte è stato un colpo di fortuna, scaturito peraltro dal demerito di Halep e Pennetta, due avversarie nel girone mica due che giocavano nel campetto di casa. La sorte comunque l’ha aiutata, ma io più che di sorte parlerei di aiuto degli dei del tennis, che si sono schierati al fianco della polacca perché annoiati dalle altre.
Se sorte c’è stata, non sono mancati i sortilegi della maga. Dopo una prima parte di stagione disastrosa, Aga si è ripresa e, a Singapore, ha giocato in modo solido da un lato (solo 5 errori gratuiti in finale, è più facile trovare un uomo con sei dita della mano che un’altra che ne compia così pochi) e brillante dall’altro. Si è difesa con una leggerezza disarmante, non solo raggiungeva palle impossibili, ma pure le rimandava di là mettendo in difficoltà le avversarie: passanti sontuosi, lob mirabolanti, palle difficili da trattare per le altre che dovevano giocare non solo la classica palla in più, bensì due o tre. Non solo questo, non basterebbe a nessuna. È tornata solida come ai bei tempi, ha sbagliato poco, anche se con Sharapova in realtà si è concessa qualche errore di troppo, cosa fondamentale per lei: se non puoi sfondare come le altre almeno non fare regali, assicurati che i punti te li facciano loro. Poi ha deliziato, tra volée raffinatissime, palle corte per le altre inconcepibili, tagli avvelenati, ha messo in mostra tutto il repertorio, ha letteralmente incantato sia pubblico che avversarie, ha dato fondo al barile della sua classe, con quella manina orgasmica unica nel circuito. Ha irretito chi stava dall’altra parte della rete, le ha costrette a scambiare, a giocare palle non ortodosse, le ha rintronate, sono ancora lì a cercare dei punti di riferimento.
Tutto questo si sapeva, è il gioco di Aga, o almeno di quella in forma, quella che riesce a regalare uno spettacolo insolito ed entusiasmante nel circuito, che la rende la tennista non omologata, dalla debolezza cronica dei colpi ma dalle soluzioni inusitate, insomma una boccata d’aria in un mondo di granatiere. Però in queste WTA Finals c’è stato dell’altro, un elemento che ultimamente mancava nel gioco di Aga: l’iniziativa. In questa settimana ha associato a tutto questo, e a tanto altro che non ho detto, la coscienza di dover farsi aggressiva appena ne ha la possibilità. Non è stata rinunciataria come negli ultimi tempi, è scesa a rete un po’ più spesso e si è concessa vincenti tirando a tutta. Naturalmente i suoi vincenti avranno velocità ridotta, ma che problema c’è? Lei la mette di là con la mano, non ha bisogno di sparare. Insomma ha cercato di prendersi i punti il più possibile, si è convinta che può farlo, che deve farlo, che sa farlo. Ecco dunque che è tornata davvero Aga la maga, in grado di mettere in difficoltà chiunque senza darsi per spacciata in partenza. Ha vinto con merito, i suoi personalissimi meriti, che non escludono l’iniziativa in campo.
Bentornata Aga! Dopo questo successo riprenderai il tuo inseguimento allo slam, noi ci crediamo, con il vantaggio che ci importa relativamente. Tu continua a farci divertire, gli dei del tennis magari vorranno premiarti ancora. Se non lo faranno li considereremo infami e continueremo ad abbeverarci al tuo verbo.
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