Sette anni in Tibet non sono stati nulla

In Tibet intendo. Sulle cime innevate, a quattromila metri sopra il livello del mare, dietro i muri protettivi di quello che è uno dei monasteri più importanti dedicati all’Illuminato, ovvero il Buddha.

E Brad Pitt deve averlo compreso bene, seppur per finta, che quello che raccontava il personaggio da lui interpretato, non era solo il frutto di una sceneggiatura ben scritta.

Per chi non lo avesse mai visto, “Sette anni in Tibet“, rimane insieme al “Piccolo Buddha”, uno dei film meglio riusciti sul tema della spiritualità orientale ed il fatto che vi stia citando queste due pellicole, è legato alla visita di Sua Santità il XIV Dalai Lama a MilanoTutto questo è successo lo scorso week-end nella ridente cittadina fieristica di Rho, dove due dei padiglioni del complesso hanno ospitato ben dodicimila anime provenienti dai cinque continenti tra cui svariati rappresentanti di religioni diverse.

Quello che Sua Santità Tenzin Gyatso ha voluto esprimere sono stati gli insegnamenti legati alla filosofia buddista, i pensieri positivi che la tolleranza e la condivisione possono far crescere il nostro essere e guidarci nel vivere in modo più sereno, senza rimanere legati alla paura e al rancore verso gli altri.

Un piccolo grande uomo avvolto in metri e metri di stoffa seduto gambe incrociate e dalla risata facile, dotato di senso dell’humour questo Dalai Lama, ve lo garantisco, attento a non essere troppo serio nei modi di porsi e dalla battuta pronta.

Una figura di grande potere politico e spirituale che ha lottato e continua tutt’ora a combattere per i diritti verso la libertà del Tibet, da cui è stato esiliato anni fa dal governo cinese, un uomo che porta con se una carica di positività immensa e di bontà che trasmette anche al di là della cultura e dell’educazione religiosa di chi lo ascolta.

Stava lì a raccontare, a rispondere alle domande e ad impartire insegnamenti in un clima festoso, ma tra massicci controlli di sicurezza.

Molto toccante è stata la cerimonia d’iniziazione per gli osservanti laici.

Trattasi infatti dell’Avalokiteshvara, ovvero la rappresentazione della compassione di tutti i Buddha, che può ricevere sotto forma di benedizione anche chi non è buddhista.

Ad un certo punto, durante la conferenza pubblica, avviene qualcosa.

Di grande, di illuminante e anche un pò cinematografico. 

Lì in mezzo alle dodicimila persone c’ero io e anche un uomo che è stato annunciato come “un grande amico di Sua Santità, sostenitore dei diritti Free Tibet e divulgatore della filosofia karmika.Signore e Signori, Mr.Richard Gere”.

Ho sentito ululare, vi dico solo questo.

Tutta la compostezza, la serietà e la profondità mantenuta per diverse ore si è andata a far benedire al solo udire il suo nome.

È intervenuto parlando del suo rapporto con la conversione avvenuta parecchi anni fa, ha salutato e ringraziato in italiano, ha stretto la mano e si è intrattenuto con diverse figure sul palco.

Credo che per metà del tempo molte di noi lo abbiano visto nei panni di Ufficiale e Gentiluomo e non come portavoce di amore e fraternità, ma non vorrei rovinare con blasfemia questo momento di alta spiritualità.

Quindi chiudo dicendo che è stato emozionate vedere ed ascoltare chi è considerato così importante ed influente politicamente e spiritualmente. È un incontro che lascia il segno.

E un senso di benessere e serenità. Le parole sentite sono state capaci di farmi credere che il buono esiste e che la pace interiore è la ricchezza più grande che un uomo possa avere.

NAMASTE’, da me e Richard.

Su Clara

Sono cresciuta a libri,moda e rock'n'roll. Mangio arte fin da piccola e ho sempre saputo che mi sarei occupata dell'immagine in tutto quello che la riguarda. Dopo i canonici anni di Liceo Artistico frequento l'Istituto Marangoni e l'Accademia del Lusso e della Moda a Milano dove spazio tra creazioni, styling e scrittura di settore. Ho una passione per il vintage a cui do una seconda vita, riutilizzando accessori e complementi d'arredo la cui immagine si stravolge e ne esce completamente rinnovata, la linea si chiama Resurrection Design, un nome che è tutto un programma, ma soprattutto una filosofia sulle possibilità. Scrivo, disegno e dispenso consigli su quello che sarà cool, una sorta di guida semiseria di quello che fotografo in giro per la City con l'occhio marcato dall'eyeliner e che racconto come se fosse una storia. Rido tanto, sogno molto e macino chilometri...ma sempre con un certo stile!

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