La solitudine vertiginosa dell’homo cyber chiede una rivoluzione che rimetta al centro non l’individuo, ma la persona, non il consumo, ma la creatività. Marc Augé li chiama da sempre nonluoghi, riscontrando in essi un deficit di identità, di relazioni e di storia: sono le stazioni, i porti, i luoghi di confine, i treni e gli aerei
Siamo dentro una “solitudine filosofica”. Raphaël Bessis scrive, in questo libro di Marc Augé (Cuori allo schermo. Vincere la solitudine dell’uomo digitale, Conversazione con Raphaël Bessis, Piemme, 2018) che: “Il singolo è costretto a elaborare da solo il processo mentale che lo porta a trovare il senso della propria esistenza, vivendo, proprio per questo, una solitudine filosofica all’interno della crisi relazionale e sociale sperimentata dalle società postcoloniali.” Siamo, insomma, dalle parti della mondializzazione. Marc Augé è convinto che “Siano proprio gli episodi della colonizzazione a costituire la preistoria immediata del percorso del pianeta che comincia oggi”. Oggi siamo tutti consapevoli “di appartenere allo stesso mondo.” “Oggi siamo nell’era della postcolonizazione, in cui a operare è il sistema nella sua relazione con ciò che è fuori da quello stesso sistema“. La tesi di Augé in questo libro è che: “Viviamo in un’epoca che afferma l’ideologia del presente, dove il passato diventa spettacolo, mentre nessuno parla più del futuro e tanto meno lo può prevedere.” Presentificazione della storia, annullamento del futuro, messa in scena del passato: in una parola: la mondializzazione come luogo di contraddizioni (dal punto di vista del tempo storico) risolte con un atteggiamento individualistico, personalistico, singolaristico.
Nonluoghi, che cosa sono?
La nostra epoca vista non come residenza o strada o viale alberato o negozio di alimentari ma come cantiere. Il cantiere del presente ha cannibalizzato tutte le altre forme del tempo. Ma cosa significa vivere solo in un’eterno presente? Non avere radici (“Senza più padri da ricordare” cantava Francesco De Gregori) e non avere speranze (una vita senza futuro è una vita che non ha attese). Speranze e radici: sono due punti saldi (a cui ancorarsi). Una vita schiacciata in un eterno presente è, per ciò, incerta, precaria, indeterminata. Se si vive solo nel presente non si ha idea di una trascendenza: tutto è effettuale, concreto, pratico. Il mondo (e la mondializzazione) diventa solo un fatto politico. Un presente del tutto politico che non ha spazi (o, come amerebbe dire, Augé, luoghi) impolitici (secondo la definizione di Roberto Esposito). È il ritorno del Leviatano di Thomas Hobbes. Il futuro e il passato precipitano dentro questo presente. Tutto è reale e razionale, tutto è politico, tutto è realtà effettuale della cosa (Niccolò Machiavelli): tutto è presente immediatamente visibile e coglibile sul filo delle comunicazioni digitali e della tecnologia. Quanto costa quel detersivo? È uscito l’ultimo modello di telefonino? Hai preso il tuo iPod? Da una parte, a questo punto, ci sono i due concetti relativi di luogo e non luogo (che permettono di determinare degli spazi) e dall’altra parte c’è la constatazione dell’aumento degli spazi di comunicazione, circolazione e consumo. Il presente presentificato occupa degli spazi (e quindi non ha solo a che vedere con la dimensione del tempo) e questi spazi sono determinati da luoghi e non luoghi. I nonluoghi sono “spazi privi di identità, relazioni e storia. I luoghi e i nonluoghi sono degli spazi nei quali il presente “si presenta” nella sua veste di discriminante tra una vita degna di essere vissuta (e carica di emozioni) e una vita passata davanti a uno schermo, in uno sportello del Bancomat, nella sala d’attesa di un aeroporto. Questi spazi producono quindi identità in standby. Tempo annullato, spazi destinati solo alla passività e al transito e identità, esse stesse, transitorie: la mondializzazione esalta la fretta, la corsa, la velocità.
Per il filosofo, oggi, il mondo intero è diventato un nonluogo
Scrive Marc Augé: “Si verifica quindi una riduzione dello scarto tra finzione e realtà e allo stesso tempo un livellamento dei diversi settori dell’informazione.” Ed inoltre che “Il carattere realistico delle finzioni si accompagna con la spettacolarizzazione di scene della realtà”. Schermi e immagini, maschere e simulacri, cineprese e reality show, connessioni e disconnessioni, wireless e iPad… Il mondo è popolato da diaframmi che stanno fra la realtà e l’idea che di essa se ne può avere. Lo schematismo di Kant ritorna sovrano. Schermi e, naturalmente, Cuori allo schermo. Immagini e informazioni. L’altro si fa spettacolo e diventa spettrale. “È vero, infatti, che una parte del mondo vive bene, mentre l’altra vive male, e non sarebbe nemmeno tanto assurdo sostenere che la prima vive sulle spalle della seconda.” Economia (da leggere: finanza) e metafisica (la ricerca dell’altro che diventa “spettrale” – echi di Marx? – rendendoci come soggetti a “un senso d’invasione”). “Siamo totalmente responsabili di una politica globale che permette la fame nel mondo“. Quando visitiamo un Paese esotico: “Proviamo una specie di schzofrenia, in quanto talvolta pensiamo alle palme, alla natura e a cose piacevoli, talvolta invece alla situazione attuale di quel Paese, alla miseria…“. Dunque questi “Cuori allo schermo” sono schizofrenici? Realtà e finzione, immagine e vita si mischiano “Allo schermo“ provocando sentimenti non univoci. “Alla fine a crollare sono i punti di riferimento“. L’incertezza, l’insicurezza, quella che Ulrich Beck chiamava la “Società del rischio”… “Un mondo prigioniero della velocità e dell’urgenza, di un tempo che suscita una nuova ansia di massa“. Noi vediamo “accelerata la nostra consapevolezza“. Si vive nell’angoscia dell’intimazione continua cambiare identità e punti di riferimento. Ansia, angoscia, incertezza: “Lo schermo”. Adattamento? Dare “Soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche” (Ulrich Beck)? Evolversi? Lamentarsi? Intanto, dice sempre Augé: “L’ideologia attuale è incentrata sul presente“. C’è una quadruplice implicazione: schermo, immagini, legge e tirannia del presente. “L’ideologia del sistema attuale (è composta da)… “evidenza” e “presente””.
Il singolo è costretto a cercare da solo il senso della propria esistenza
Afferma Marc Augé: “La nostra esperienza di solitudine equivale a una vertigine soprattutto perché parte dalla presenza di un vuoto che si sostituisce a ciò che offriva un significato al mondo, un fondamento simbolico alle relazioni con gli altri“. Oggi la “relazione” (Io-altro) è in crisi; le sue forme sono veicolate dall’immagine. L’individuo si trova sempre in compagnia di fantasmi (al pc o alla televisione): è solo. Il vuoto relazionale e il vuoto offerto dall’assenza dei tradizionali “corpi intermedi” (sindacati, partiti politici, scuola, chiesa ecc.), produce, “allo schermo”, la solitudine. Questa solitudine procura – nell’individualismo dell’individuo – una “vertigine“. Vertigine è il confronto coi momenti del “vuoto” e dell’ “infinito”. Nell’assenza di “grandi narrazioni”, dice Lyotard biosgna rifugiarsi nelle “piccole narrazioni” caotiche: ogni uomo produce un “racconto“: il “racconto” del suo destino. Scrive Augé: “Oggi, nei mondi ormai contemporanei, molte delle relazioni che intratteniamo passano per l’immagine, la caricatura, la marionetta o la pura e semplice rappresentazione, sebbene ci illudiamo di stabilire legami veri”.
Il ruolo del profeta
Il mondo, infine, viene oggi disposto per essere reso “finzione” (proiettato su uno schermo). Davanti a quello schermo il “cuore” dell’uomo (realtà) è alle prese con la fiction e si sente “solo”: di fronte a questa “vertigine” egli può adattarsi o soccombere. Davanti allo “schermo” c’è l’altro. Io mi identifico con l’altro. E io stesso divento “finzione”. Fingo? O “Mi fingo” (come Leopardi affermava di fare “nel pensier”)? Mi fingo cosa? Fingo una vita che non ho? O ne “invento” una pronta a tutti gli usi? Qual è la forza dello “schermo”? Augé, naturalmente, pone tutte queste domande ma risponde con un “forse”. Come Kierkegaard nell’ “Aut-aut”, l’uomo deve scegliere: solitudine o ritorno alla relazione? Globalizzazione o, come diceva Umberto Eco, rivivere la storia “A passo di gambero“? Qualche nuova soggettività e uno spazio e un tempo finalmente restaurati o “La solitudine del cittadino globale” di cui parlava Zygmunt Bauman? Il destino di una “solidità” ritrovata o la nuova “liquidità” (è sempre un’espressione di Bauman) conclamata e acclarata? Il “cuore” (“allo schermo”) rimane pur sempre un cuore: ha ancora voglia di vivere e di vivere insieme agli altri. Recuperare l’alterità, la storia e la relazione. Augé conclude il suo libro affermando le ragioni della “profezia”. Il profeta vive dentro la storia e, nello stesso tempo, fuori. Farsi “profeti” di una post-globalizzazione oltre lo “schermo”… Verso dove? Verso, come afferma Emanuele Severino, la “gioia” della consapevolezza di stare al mondo e di essere sempre insieme con gli altri.
Gianfranco Cordì