Massimo Recalcati e l’esperimento dell’amore
“Ogni amore è tenuto a mantenere il bacio. È solo il bacio a coniugare la lingua che dichiara l’amore con il corpo dell’amante” dichiara Massimo Recalcati in questo suo Mantenere il bacio. Lezioni brevi sull’amore (Feltrinelli, Milano, 2019). Il bacio dunque congiunge, in un nesso indissolubile teoria e pratica, umano e divino, metafisica e concretezza, necessità e contingenza. Solo nel bacio accade quell’unione di lingua e corpo che è poi l’unione dell’italiano (inteso come lingua) con la biologia. Che è poi, altresì, l’unione della parola con la carne viva di una lingua che da parola (e fonte di emissione della parola) diventa parte dell’Altro, parte di me, parte intrusa dell’Altro che si fa storia di quell’amore. Recalcati dice ancora: “Il bacio è il tempo di un’infinità che unisce in modo sorprendente il luogo della parola con quello del corpo”. Ma dove avviene questa unione, questa commessura, questa congiunzione? E’ chiaro: nell’esperienza – è lì, come ci insegna la scienza, che teoria e pratica trovano un punto di giuntura.
Nell’esperienza dell’amore e nell’amore inteso come esperienza dell’estasi amorosa e delle sue interminabili figurazioni. “Mentre mantengo il bacio, tocco la tua lingua, la tua voce, la tua parola, il tuo nome. Mentre mantengo il bacio, trasformo il tuo corpo in una nuova lingua e in un nuovo alfabeto”. Il corpo che diventa, a questo punto, lingua e la parola che si fa corpo dell’enunciato, dell’espressione e della denotazione. Ma di quale parola si tratta? E di quale lingua si tratta? “Mantengo il bacio nel buio della notte e nella luce del giorno. Lo mantengo nel tempo che passa. Lo mantengo nel furore acceso del mondo, nella sua ferocia. Gli amanti scavano il loro nascondiglio, la loro pace nella guerra, nell’infinito dolore dell’essere. Quando si baciano spengono il rumore del mondo, infrangono la sua legge, sequestrano il tempo del suo movimento ordinario. Cadono insieme nelle loro lingue distinte e abbracciate”. Ma che lingua è questa? Quale linguaggio sta adoperando Recalcati per avvertirci che, nel tempo (e nel tempo dell’amore), mantenere il bacio vuole dire coniugare espressione (e forma) con corporeità (e sostanza)?
Intanto mantenendo il bacio i Due (Io e l’Altro) mantengono, nel tempo dell’amore, una promessa di comunicazione. Un’interrelazione. Una connessione. Il bacio vive nel “tra” e non nelle reciproche solidissime identità (personali) che sono in ballo. Il bacio non appartiene né a me (l’Io) né all’Altro (l’amato, l’Altro da me, la mia innamorata). Il bacio, in questo senso, è una rete intrinsecamente e metafisicamente fondata. Esso è il punto di incontro, nell’esperienza dell’amore di cui si diceva, tra l’Uno e l’Altro. E’ la loro reciproca messa a nudo. Il bacio è un medium che, come si sa e come ci insegna la teoria della comunicazione, è sempre il messaggio. Attraverso il bacio, nell’esperienza dell’amore, nasce una lingua. Recalcati ci avvisa: “Novalis ci avvertiva che il mistero dell’amore non si può spiegare; che gli unici autorizzati a parlarne sono i poeti”. Poesia dell’amore e non sua spiegazione: gesti, cenni, accenni, indizi, segni, sintomi, intuizioni: è la lingua dei poeti quella che parla l’esperienza dell’amore.
Recalcati così scrive questa sua poesia dell’amore attraverso diverse figure (il bacio, il tradimento, la durata, la gelosia eccetera) che tende a circoscrivere una vera e propria fenomenologia del discorso amoroso (parafrasando Barthes) la quale alla fine restituisce un affresco. Si tratta di un dipinto che configura una stratificata e multilivello configurazione di piani (attraverso le varie figure summenzionate) che tendono a restituire il senso di un’apertura e di un relativismo assiologico. Quasi che il discorso sulle cose dell’amore fosse ancora tutto da scrivere e che debba scriverlo (se gli va) proprio il lettore di queste pagine dello psicanalista milanese. “Freud non credeva affatto al miracolo dell’amore. Riteneva che fosse il frutto illusorio di una passione narcisistica dell’Io per sé stesso o, meglio, per il suo ideale narcisistico. Amare non significa altro che adorare la propria immagine ideale incarnata dall’amato. Quando dico “ti amo” sto dicendo che “amo me stesso attraverso di te”, sto dicendo che “mi amo in te”, che “amo me stesso”, che “amo in te il mio Io”. Il soggetto è più importante del verbo. L’amore per Freud è essenzialmente un fenomeno immaginario che appartiene alla sfera del narcisismo, si consuma tra i riflessi ingannevoli dello specchio; non si ama mai l’amato per quello che è, ma solo per quello che immaginiamo sia o, più precisamente, per l’ideale di me stesso che egli riflette”. Rompere lo specchio, a questo punto, vuole dire trovare dall’altra parte il mio vero amore.
Annullare il narcisismo che mi fa vedere nello specchio solo me stesso. E rispetto al quale l’amore non è altro che una proiezione immaginaria dell’immagine che lo specchio mi propone. Spezzare quel diaframma che congiunge/separa Io ed Io. E quel preciso modo, rompendo lo specchio in mille pezzi, di trovare, all’interno del riflesso dei pezzi dello specchio, non più me stesso ma l’Altro. Lo specchio e la menzogna mentre la verità del bacio è quella del “tra” che attraversa la rottura del nesso indissolubile che percorre il rapporto tra me stesso e me stesso lungo l’asse d’orizzonte dello specchio che mi restituisce solo la verità dell’Altro finalmente, come il tempo di Proust, “ritrovato”. Dunque siamo alle prese con la verità dell’amore o con l’amore vero che diventa vero amore? “L’innamoramento – come la follia – non può essere un atto della volontà. L’amore e la follia sfuggono al potere della coscienza. La scelta dell’amato non viene dall’Io, ma dall’inconscio”. Non posso ragionare e calcolare esattamente (come 2+2=4) chi dovrò amare a seconda delle sue caratteristiche. E non posso decidere di amare qualcuno. Genialmente Nanni Moretti in Bianca diceva: “Io scelgo di volere bene. E quando scelgo è per sempre”. Spezzando lo specchio si trovano i cocci dell’inconscio. Ma non del mio inconscio e meno che mai di quello dell’Altro. Si tratta, in questo caso, dell’inconscio ontologicamente determinato. Il bacio dunque è un “tra”; l’amore è “l’inconscio” che diventa realtà: in fondo l’amore è un lapsus ma non un errore. L’amore è una svista. Non è la vista di me stesso allo specchio. Ci si ama per svista e per congiunzione di punti di vista. E per la presenza dell’arte di un Altro che diventa, dall’incontro, artista. Come emerge questo “Io” (l’Io dell’Altro) dai pezzi dello specchio? Come nasce l’Altro? C’è (in quanto realtà): “Qualcosa che resiste nella sua alterità”.
L’amore non può essere idealizzato: si ama sempre inconsciamente. Ma siccome siamo dalle parti dell’ontologia: sia amano sempre egualmente i pregi e i difetti dell’Altro (la sua realtà): l’amore vive nella contingenza. Ci sono in campo quattro elementi: Io, l’Altro, il bacio e l’amore. L’Io vive nella sua lingua: esso è il soggetto dell’enunciazione. L’Altro è come abbiamo visto la realtà. La lingua immersa nel bacio è quella del “tra”. L’amore è l’inconscio che diventa realtà. A questo punto ne nasce una nuova figura: l’incontro. “L’incontro, abbiano visto, è sempre nell’ordine del mistero”. Reacalcati introduce allora altre sei figure tutte relative al “mistero”. 1) Ne nasce il desiderio; 2) la dimensione del desiderio è l’erotismo; 3) viene al mondo un figlio; 4) “Il figlio è figlio non del seme o dell’utero, ma del desiderio di chi lo ha messo al mondo”; 5) “Quello che occorre trasmettere al figlio è il sentimento stesso della vita, è il sentimento dello “splendore del mondo””. 5) “Un figlio non è solo la ripetizione dell’amore dei Due, ma è anche l’irruzione di un altro tra i Due. Questa irruzione può essere, come abbiamo visto, sorgente di bellezza, ma anche di un sentimento inedito di lontananza per i Due”. Il figlio, con la sua nascita, ricompone i pezzi dello specchio. E per l’Io sparisce di nuovo l’Altro e l’amore va in frantumi. Infine Recalcati ci informa che:
“E’ indubbio che per gli uomini l’amore è un’esperienza che erode la loro identità”. Ci si maschera insomma per non mostrare la propria fragilità. L’amore, a noi uomini, ci rende liquidi, fragili, indifesi, fratti, insicuri. Mentre la donna è l’emblema della “libertà assoluta”. L’amore libero è tipicamente femminile. Quindi l’amore, nella donna, erode la sua emancipazione (carriera vs famiglia): la rende più solida, rigida, uniforme. L’esatto opposto di quello che fa nell’uomo… “Ogni amore è obbligati a sperimentare di essere sempre un “non-tutto” perché nella sua esperienza deve incontrare l’impossibilità dell’unificazione e dell’immedesimazione”. Il Due non diventa mai Uno: c’è sempre uno scarto. Come il bufalo nella canzone Bufalo Bill di De Gregori che poteva “scartare di lato” mentre la locomotiva aveva “la strada segnata”. E questo scarto, all’interno dell’esperienza dell’amore, è un “non-amore”. L’amore porta dentro di sé anche la propria negazione. L’amore è cioè intrinsecamente dialettico. “E’ la bellezza miracolosa dell’amore: amare tutto dell’Altro senza mai poter essere un tutto con l’Altro. Essere attratti dal suo mistero, dal suo segreto, dalla sua alterità che non possono mai essere nostri”. In fondo con quello scarto “Non si tratta però di un limite, di uno scacco, di una trappola”. E’ la felice e impossibile a definirsi contraddittorietà del sentimento amoroso: non si ama chi se lo merita! Non si ama chi si vorrebbe amare! Non si ama chi si dovrebbe amare! Andiamo al finale. Quali sono, nell’esperimento dell’amore raccontato poeticamente dalla figura del bacio, gli amori che durano? “Gli amori che durano sono quelli nei quali ciascuno dei Due ha una certa confidenza con la propria solitudine”. Alla fine di questa fenomenologia Recalcati, in questo saggio condotto peraltro in maniera brillante, ci informa che il cerchio si chiude. Dal bacio, alle figure dell’amore alla solitudine… Bacio la mia solitudine e sono solo nel momento in cui bacio te… In realtà quello che ci vuole, alla fine, è un ripostiglio. Basta tenere aperto/chiuso questo ripostiglio e scoprire che dentro ci sono io e ci sei Tu (ovvero: una parte di Te). Ma dentro quel ripostiglio c’è il nostro amore che dura!
a cura di Gianfranco Cordì