Patria racconta, attraverso le vicende intrecciate di due famiglie, le sofferenze che la lotta armata dell’ETA ha procurato nella penisola iberica e nei territori della Euskal Herria
Due famiglie, quelle di Txato e di Joxian, amici d’infanzia che vivono in un paesino basco, a pochi passi dalla cittadina di San Sebastian. Due nuclei legati tra loro da amicizia fraterna, compagni di bici e di gioco alle carte i due mariti, amiche d’infanzia le mogli, Bittori e Miren che si confidano e vanno a fare compere a San Sebastián ogni settimana, in corriera, dal loro paese alle porte della città, uno dei bastioni del nazionalismo della provincia di Guipúzcoa. Inevitabilmente amici anche i figli, Xabier e Nerea quelli di Txato e Bittori, Joxe Mari, Arantxa e Gorka quelli di Joxian e Miren. Un quadro felice fino a quando il Txato (questo è il suo soprannome, il suo nome vero non viene mai menzionato), piccolo imprenditore nel settore dei trasporti, viene preso di mira e taglieggiato dall’Eta per finanziare il progetto di guerra allo stato spagnolo. Il Txato all’inizio piega la testa e paga ma poi si ribella, decretando la sua condanna a morte e la fine dell’amicizia tra le due famiglie, perché, nel frattempo, Joxe Mari, figlio di Joxian, è entrato a far parte della lotta armata. Dalla morte del marito Bittori si trasferisce a San Sebastian per poi ritornare alla ricerca di un’unica cosa: la verità sulla morte del marito.
Uno stile narrativo complesso ed efficace
L’arco narrativo va dagli anni 70 fino ai giorni nostri ed è suddiviso in 125 capitoletti non consequenziali in cui i protagonisti si intrecciano nel racconto dei fatti. Una scelta stilistica potente che sottopone il lettore a una tensione costante. Aramburu dosa passato, presente e i vari punti di vista offrendo a ogni capitolo qualche piccolo indizio per comprendere appieno la situazione. Situazione che, senza sconti, troverà la sua risoluzione solo all’ultima pagina.
Particolarmente interessante è lo stile utilizzato da Aramburu. O meglio, gli stili, dato che ogni voce ha un suo particolare timbro che Aramburu ci propone dosando sapientemente prima e terza persona e giocando sull’utilizzo di molte parole in euskera (non tradotte nella versione italiana, ma non temete, in fondo c’è un glossario) e sugli errori di linguaggio, principalmente i congiuntivi, attribuiti quasi totalmente ai personaggi più legati alla lotta armata e all’ideologia più cieca.
Magistrale, a mio parere, la capacità di Aramburu di passare dalla terza persona, che offre una visione oggettiva della scena narrata, alla prima persona, che invece ci pone all’interno dei pensieri e delle emozioni del personaggio. Questo gioco di equilibri rende Patria un libro che va al di là della vicenda che coinvolge due famiglie e apre uno squarcio su quello che sono stati i Paesi Baschi nel loro periodo peggiore, ma scende in profondità rendendo ogni personaggio (Miren e Bittori su tutti) un racconto nel racconto. Ognuno di essi, peraltro, porta con sé tematiche forti, trattate da Aramburu mai in astratto ma sempre ben accordate alla contingenza del racconto. Si va dal lutto di Bittori all’amore cieco di Miren per Joxe Mari; dall’omossesualità di Gorka alla depressione di Xabier; dell’inettitudine di Joxian alla separazione di Nerea dalla sua vicenda famigliare; dalle difficoltà della condizione d’invalidità di Arantxa alla convivenza di Txato con la paura.
Una visione non istituzionalizzata dell’ETA
Ho volutamente tenuto per ultima la considerazione sulla vicenda principale, ossia la follia sanguinaria dell’ETA che ha tenuto in scacco un intero paese per oltre 60 anni (il gruppo ha rinunciato alla lotta armata nel 2011 e si è sciolto definitivamente nel 2018). Aramburu la racconta evitando di darcene l’immagine istituzionalizzata offerta all’opinione pubblica, ma preferisce raccontare l’ETA partendo dalla vita quotidiana, dal pensiero degli ultimi (quelli più impressionabili e bisognosi di una guida), da come ha modificato il modo di vivere di chi l’ha vissuta. La scelta del paesino, e non della cittadina come ad esempio poteva essere San Sebastian, condensa ancora di più la sensazione di vischiosità di un movimento capace, grazie alla paura, di estendere la propria mano su ogni singolo aspetto della vita quotidiana.
Autore:Fernando Aramburu
Traduttore:Bruno Arpaia
Editore:Guanda
Collana:Narratori della Fenice
Edizione:22
Anno edizione:2017
In commercio dal:28 agosto 2017
Pagine:640 p., Brossura