Non c’è speranza per il genere umano. Questo, in sintesi, il messaggio de il Signore delle Mosche, libro che valse a William Golding il premio Nobel per la letteratura nel lontano 1983
L’idea alla base de il Signore delle Mosche, Golding la matura in seguito a un esperimento che fece con la sua classe elementare: divise i bambini in due gruppi, e diede loro il compito di discutere su un tema. Una volta lasciati soli, i bimbi approfittarono della mancanza di autorità per far degenerare nel giro di poco la discussione in rissa.
Da questo semplice esperimento, nacque poi il libro che permise a Golding di vincere il Nobel per la letteratura, un libro amato alla follia dai ragazzi dell’epoca (il libro uscì nel 54 ma raggiunse il successo negli anni 60) non solo per lo stile semplice, asciutto e lineare ma anche perché il messaggio ben si sposava con la coscienza politica dei giovani studenti in piena guerra fredda.
Protagonisti del libro un gruppo di bambini sopravvissuti a un disastro aereo e i loro tentativi di organizzarsi come una società adulta, fallendo miseramente nel loro intento.
Se i personaggi risultano un po’ stereotipati, di contro il ritmo di scrittura porta subito al cuore del problema. Perché se da un lato abbiamo Ralph, un bambino che mette da parte il suo lato infantile per cercare una soluzione per tornare a casa e che viene eletto leader ai voti, dall’altro troviamo Jack, preda dell’adrenalina generata dal “gioco della caccia” e sofferente al suo stato di “vice” tanto da arrivare ad una vera e propria rivolta contro tutto quanto fosse stato realizzato fino a quel momento. A loro si affiancano Piggy, forse il ragazzino più intelligente del lotto ma non considerato e per di più bullizzato per via del suo peso e infine Simon, un completo psicolabile.
I loro errori gestionali, il loro inesorabile crollo verso una deriva pulp e un finale a mio parere per nulla all’altezza, delineano i contorni di una storia tutt’altro che di salvezza, ma che anzi ci obbliga a riscoprire le più profonde paure dell’uomo.
Ne il Signore delle Mosche (che altri non è che una testa di cinghiale ricoperta di mosche a cui i bambini associano voci e paure che in realtà prendono vita dalla loro testa) Golding non offre alcuna speranza di redenzione.
Non c’è salvezza nell’uomo che, se lasciato a se stesso, “produce male come le api il miele”, tanto da distruggere tutto quello che ha costruito, dal far degenerare democrazie in dittature fino al rinnegare il valore stesso della vita.
Va letto? Assolutamente sì. Non per la valenza puramente letteraria (ci sono migliaia di libri scritti meglio) ma per la semplicità del testo che lo rende adatto a giovani e adulti e per l’importanza del significato. Il Signore delle Mosche, in sostanza è la trasposizione su carta di ciò che vediamo tutti I giorni attorno a noi, nella vita vera, sul web, sui social, in televisione. Un gioco selvaggio chiamato vita che racchiude nello stesso luogo e nello stesso istante ideali cristallini e buone intenzioni, mischiati a desideri repressi e istinti selvaggi.
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Autore:William Golding
Traduttore:Laura De Palma
Editore:Mondadori
Collana:Oscar moderni
Anno edizione:2017
Formato:Tascabile
In commercio dal:16 maggio 2017
Pagine:XIV-263 p., Brossura
EAN:9788804676850