Berlino Blues di Paul Scraton racchiude tracce di una serie di indizi, rifrazioni di una realtà liquida, fogli di un’unica mappa precaria. Ne scaturisce una Berlino mobile, sia nei sedimenti storici che lasciano il segno, sia nello sviluppo senza sosta che pare mirare ad un cambiamento perpetuo, sia negli abitanti che la afferrano a fatica, ne colgono solo parti difficili da ricomporre
Berlino Blues di Paul Scraton
Quando cercavo di leggere la città, a quel tempo, spesso mi domandavo se ci sarei rimasto abbastanza da scrivere storie tutte mie, sopra l’acciottolato e sotto la luce debole gettata dai lampioni le cui lampadine non venivano cambiate da prima della caduta del muro. Allora mi domandavo se avrei mai avuto fantasmi tutti miei in quella città, fino al momento in cui mi resi conto che era così.
Quest’anno è tornato il Book Pride in presenza e, tra le altre cose, mi ha portato questa bella scoperta. Sono quattordici racconti? Sì e no. Se è vero che ogni capitolo potrebbe anche essere considerato quasi a sé stante, in tal modo si perderebbe però il filo conduttore che lega i racconti in modo significativo. Diciamo che se si volessero considerare racconti, si tratterebbe di racconti da non separare.
A me piace vederle come tracce di una serie di indizi, rifrazioni di una realtà liquida, fogli di un’unica mappa precaria. Ne scaturisce una Berlino mobile, sia nei sedimenti storici che lasciano il segno, sia nello sviluppo senza sosta che pare mirare ad un cambiamento perpetuo, sia negli abitanti che la afferrano a fatica, ne colgono solo parti difficili da ricomporre. Una città dalla nascita insensata che si è sempre complicata la vita, che non le hanno reso facile, a cui non ha voluto rinunciare. O almeno questo è un modo di vederla, non certo l’unico.
Il narratore rimane anonimo e raccoglie le testimonianze di diversi personaggi che incontra nel pub di Franz. Ogni personaggio, alcuni ricorrenti, sono portatori di un punto di vista intenso sulla città, con la capacità di sviluppare istanze ed esigenze particolari che vanno ad arricchire un collage sfaccettato e sempre in divenire, mai definitivo. Un incrocio di umanità che spesso sa di malinconia, ma che racchiude una forza sorprendente che emerge dalle varie personalità.
Incroci di storia
“Berlino è la città dove vengono testate le teorie” diceva.
Il racconto di Berlino è la narrazione delle sue sedimentazioni, ben rappresentate dalle mappe di Annika che compongono percorsi cittadini tesi verso attenzioni differenti. La storia ha attraversato questa città in modi spesso spietati, lasciando segni che ne permeano il tessuto. Non solo la storia, ma anche le storie, quelle inventate, immaginate, raccontate, in una nebbia mai diradata tra realtà e fantasia, forse perché la fantasia contagia la realtà e la realtà permea la fantasia.
Lo stesso luogo in cui sorge è insensato, portandola ad una battaglia perpetua contro la natura che tende a volersi riprendere i propri spazi. Infatti le pagine sono un insistito andirivieni tra le vie cittadine e i luoghi immersi nella natura che circondano la città, o anche ritagli di natura all’interno della città stessa, così come assistiamo ad una continua prospettiva rovesciata di panorami: la natura contemplata dalla città e la città vista dalla distanza.
La storia di Berlino non è solo uno scavo nel passato, a partire da quando certi borghi non erano parte della metropoli da cui sarebbero stati inglobati. Scraton permea i racconti di un incrocio vivo tra passato e presente, in un divenire inquieto che si allunga verso il futuro. Le pagine non indugiano mai in un tempo ben inquadrato, ma rendono liquida la stratificazione, innestano storie e persone fino a far balenare un unico paesaggio inafferrabile, un’atmosfera che ognuno tenta di cogliere secondo inclinazione.
Casa
Era questo il punto di quello che si definisce “casa”, continuò. Non era solo un posto. Un nome su una mappa o una cartina. Era un sentimento. Un momento nel tempo o le parole di una canzone. L’uso continuato di una lingua i il lento svilupparsi di una ricetta di famiglia che si modificava alle nuove circostanze. Esisteva, insistette, ed era reale. La città, il paesaggio… Ma se esisteva, poteva anche cessare di esistere. Poteva sparire, e poteva essere portata via.
Il panorama umano è variegato e irrequieto, i personaggi, molto diversi tra loro, condividono la sensazione di precarietà. Sia chi racconta una storia passata sia chi descrive un progetto non alimenta una staticità irricevibile, vivono tutti in una continua tensione dell’accadere che non ignora il passato, ma non vi si sofferma mai dallo stesso lato della strada.
In questo magma umano e cittadino ritorna il concetto di casa. Quando un luogo può essere considerato casa? Quello dell’infanzia o quello della vita adulta, quello in cui siamo costretti dalle circostanze o quello frutto di elezione? Solo un luogo può essere considerato tale? Ognuno dei personaggi ha un’intimità diversa con Berlino, scaturita da trascorsi e storie personali non assimilabili. Di certo ognuno di loro è alla ricerca di segni d’intesa che possano segnalare un luogo come casa, una quiete vivida e non sterile. Con la malinconia conclusiva di una fine che coincide con un inizio, un riconoscimento dalla distanza.
Si tratta senza dubbio di un atto d’amore di Scraton verso Berlino, ne trasuda ogni pagina. Risulta però fondamentale che non sia un omaggio melenso, bensì una mappatura anche spigolosa, in cui l’amore non nasconde le criticità, la passione allarga lo sguardo invece di restringerlo. Detto questo, alimenta il testo una intensa capacità di raccontare luoghi e persone, l’abilità di girovagare per una città risaltandone l’umanità profonda, tra sogno e crudezza.
Paul Scraton – Berlino Blues – 8TTO Edizioni
Traduzione: Cristina Cigognini