Steve McQueen – La scommessa di una vita

Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di vedere, in anteprima rispetto all’uscita nelle sale italiane, il documentario “Steve McQueen: una vita spericolata”. Una retrospettiva di un particolare periodo dell’attore hollywoodiano, ossia quello relativo alla laboriosa realizzazione del celebre film “La 24 ore di Le Mans”

Tra le belle cose del lavoro di giornalista ci sono gli inviti a sorpresa. L’ultimo è arrivato da Tag Heuer, per i pochi zoticoni che non lo conoscono (come me, del resto), uno dei marchi di orologi più raffinati ed esclusivi al mondo. La sorpresa riguardava la possibilità di visionare in anteprima rispetto all’uscita nelle sale il documentario intitolato Steve McQueen: una vita spericolata. Il film, realizzato dai registi Gabriele Clarke e John McKenna racconta il periodo intorno al 1971, anno in cui McQueen si dedicò anima e corpo al suo film più desiderato e voluto, La 24 ore di Le Mans. Prima considerazione sul documentario: ma il titolo tradotto in italiano che c’entra? Nulla, per l’appunto. La versione originale infatti è “The Man & Le Mans”  e chissà perché chi l’ha italianizzato ha prodotto una simile boiata. Sputata la giusta bile, il resto, invece, è davvero gustoso, anche per chi come me conosce poco la leggenda di Steve McQueen. Il documentario racconta del periodo più intenso della vita dell’attore e in un certo senso svela anche la debolezza di una delle icone maschili più forti degli anni 60/70. Un uomo che, dopo la tripletta di capolavori quali Bullit, La grande Fuga e Il Caso Thomas Crown, decise di passare la barricata e vestirsi da produttore per realizzare il suo sogno, un film sull’automobilismo. Fondata la sua casa di produzione, dunque, McQueen riuscì a trovare finanziamenti adeguati e mise in piedi una produzione da colossal.

Un progetto enorme che in breve tempo si scontrò con la realtà dei fatti, e cioè che McQueen non era un produttore ma un attore e che, la quando la passione vuole avere la meglio sullo show business, non sempre i progetti riescono al meglio.

Il set, infatti, in breve tempo divenne per l’attore una sorta di “parco giochi” che qui riuscì a dare sfogo a tutto il suo amore per le auto, lavorando quasi a briglia sciolta e concentrandosi solo ed esclusivamente sul realismo delle riprese in pista. McQueen stipendiò lautamente dei piloti veri per le riprese e la sua troupe mise a punto delle tecniche onboard che ancora oggi brillano per il loro realismo. Addirittura venne iscritta alla vera 24 ore di Le Mans (che ricordo, è una gara di endurance tra le più celebri al mondo) un’auto farcita di telecamere per catturare alcune scene reali della gara. La 24 ore di Le Mans più che un film,  dunque, fu un vero e proprio laboratorio espressivo per McQueen, talmente preso dal riprodurre in pellicola la sua passione, da “dimenticarsi” persino della trama (proprio per questo motivo il regista John Sturges abbandonò il set i favore di Katzin) e  dei costi e dei tempi di produzione (un mese intero venne utilizzato per le sole riprese di gara). Il film al botteghino fu un flop, ma oggi è considerato un cult movie e una pietra miliare per tutti gli appassionati di auto. Il documentario, che utilizza diverso materiale biografico di proprietà del figlio di McQueen, Chad, racconta molto bene la pressione subita dall’attore per far convivere le esigenze di realizzazione di un colossal con quella che era la sua più genuina passione per le corse. Un impegno forse troppo grande per un semplice attore privo di esperienza “manageriale”. McQueen, infatti, ne pagò duramente le conseguenze. Proprio in quel periodo iniziò la crisi che portò al disfacimento del suo matrimonio con Neile Adams e, soprattutto, sembra proprio che l’utilizzo delle tute da pilota per il film (farcite di amianto) gli causò il tumore della pleura che se lo portò via nove anni più tardi.

In tutto questo mi son dimenticato di dirvi perché Tag Heuer è coinvolta nella realizzazione di questo documentario. Semplice: il suo modello più celebre di cronografo, il Monaco, venne indossato da McQueen (oltretutto spontaneamente) per tutto il periodo di riprese, facendone un’icona di stile e consegnandolo, di fatto, alla storia. In contemporanea con l’uscita nelle sale prevista per i primi di novembre, dunque, Tag Heuer presenterà una nuova versione di cronografo Monaco che è una riedizione della prima versione originale del 1969, indossata da McQueen. L’orologio, che potete vedere in gallery, cito da cartella stampa ha movimento cronografico automatico Calibre 11 con corona a ore 9. Prezzo? Da intenditori: 4.995 euro. 

Qui sotto il trailer del documentario, QUI invece, una panoramica sulla collezione Tag Heuer, qualora aveste grano e competenza per permettervene uno.

Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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