Apre il 7 maggio il palazzo per l’arte strappato alla mafia, si potranno ammirare importanti opere, tra cui de Chirico, Fontana e Guttuso, che furono del boss dei videopoker.
La casa pullulava di opere di artisti importanti che riempivano le pareti di tutta l’abitazione, persino in bagno: un de Chirico in cucina, due Fontana in soggiorno, Guttuso, Dalì, Sironi, Carrà. O parcheggiati nelle altre dimore da mille e una notte del boss, a Reggio, Roma, Parigi. Non è detto che il re del videopoker Gioacchino Campolo fosse veramente un esperto d’arte, tanto più che diverse volte è caduto suo malgrado nella trappola dei falsari. Di certo comprava per investire le enormi fortune accumulate con lo sfruttamento delle slot. E di solito sceglieva il meglio. Sequestrata in via definitiva dallo Stato, la sua incredibile collezione – in tutto 125 tele dal Seicento al Novecento- torna ora alla collettività, fiore all’occhiello del grande Palazzo della Cultura che dal 7 maggio apre le porte a Reggio Calabria, con i tesori strappati alla mafia e non solo.
“Questo è lo stato che vogliamo”, sorride orgoglioso l’assessore provinciale alla cultura e alla legalità Eduardo Lamberti Castronuovo. Per lui, che insieme con il presidente della provincia Giuseppe Raffa ha chiesto da subito al giudice l’affidamento delle opere sequestrate al boss e che già qualche anno fa era riuscito a portarne in mostra una parte nelle sale del Museo Archeologico ancora orfane dei Bronzi di Riace, questo palazzo di proprietà pubblica a Reggio Calabria è un po’ la realizzazione di un sogno. Perché qui, tra le sale di un ex brefotrofio degli anni Venti imbiancate e tirate a lucido da uno stuolo di volontari, le tele confiscate al boss hanno trovato finalmente una casa permanente, protette da sistemi di vigilanza degni di un bunker (la cosa su cui si è investito di più) e restituite per sempre alla comunità, con la cura scientifica della soprintendenza.
Una sfida vinta, quindi. E non la sola. Perché nei quattromila metri quadrati della struttura con le finestre affacciate sull’Etna, un intero piano è dedicato alla strepitosa collezione ‘San Paolo’, con una serie di icone russe da urlo e il San Michele Arcangelo e il drago una volta attribuito ad Antonello da Messina, con il volto sfregiato come si ritrova in tante effigi di santi in una terra bersagliata dalle invasioni turche. (“ti cumbinasti comu i santi i Riggiu” recita non a caso un proverbio locale). Messa insieme fino al 1995 da Francesco Gangemi, parroco della Chiesa di San Paolo appunto, anche questa collezione – che da tempo aspettava di trovare una sede adeguata – vanta tra i suoi tesori opere uniche, come una Madonna con Bambino di Cima da Conegliano, per esempio. E addirittura un bozzetto di Raffaello.
Tant’è, l’orgoglio di Lamberti Castronuovo è anche per lo spazio offerto a 250 artisti della città chiamati ad esporre le loro opere, “con l’unico obbligo – sottolinea – di sostituirle con frequenza, come minimo ogni sei mesi”. E per la Biblioteca, che ospiterà la donazione Calarco, inestimabile raccolta di libri rari dal Sette all’Ottocento. Mentre l’ultimo livello è dedicato al bergamotto, eccellenza e vanto della produzione reggina: “Un museo nel museo, che mette in mostra i macchinari e illustra come funziona l’estrazione di questo agrume tipico che oggi sta vivendo una nuova popolarità, diventato importante anche per la gastronomia”. Per le opere strappate al boss (oltre ai capolavori del Novecento, tra cui una bellissima piazza di De Chirico, anche una sezione del Sei-Settecento) un’ottima compagnia.
“Un segnale e un monito, il simbolo del recupero di un patrimonio restituito alla comunità”, ripete l’assessore, precisando che l’ingresso sarà gratuito. Sabato 7 quindi si apre, con un battaglione di giovani guide preparate per raccontare in inglese, francese e spagnolo, “ma anche tedesco e arabo”, che arte e cultura sono l’arma più forte della lotta per la legalità. (ANSA).