Parkinson, dopo operazione al cervello maestro di sci torna a sciare

Un pacemaker nel cervello per alleviare i sintomi del Parkinson. Ecco la storia di un maestro di sci che è potuto tornare a sciare dopo l’operazione. Le percentuali di miglioramento sono del 50-60%

Un calvario, quello di Andrea, durato 12 anni, fatto di un continuo pellegrinaggio di visite mediche, trattamenti placebo, 9 pastiglie al giorno e un lento quanto inarrestabile degrado delle capacità motorie. Aveva 29 anni quando il Parkinson ha mostrato i primi sintomi e dopo lunghi anni di trattamenti insoddisfacenti arriva la svolta: l’inserimento di una specie di pacemaker nel cervello, che gli ha cambiato la vita. Andrea ha ripreso in pieno la sua professione di maestro di sci, in val Sangone, nel Torinese, cammina e svolge normalmente qualsiasi attività.

È uno dei 250 casi trattati in 20 anni alle Molinette di Torino, dalle equipe dei professori Michele Lanotte e Leonardo Lopiano. “Salgo in alta in montagna, vado a funghi, faccio lunghe passeggiate – racconta Andrea -. Certo in alcuni momenti, nel passaggio da una pastiglia all’altra (ne prendo quattro) sento affaticamento, ma i sintomi della malattia sono sotto controllo”. La nuova tecnica terapeutica chiamata “stimolazione cerebrale profonda”, infatti, non cura la malattia, ma ne contrasta i sintomi invalidanti e viene usata anche per altre patologie, come le distonie, il disturbo ossessivo compulsivo, l’epilessia.

“Non guarisce il Parkinson – precisa Lopiano – ma decisamente migliora i sintomi. I pazienti che possono farne uso sono accuratamente selezionati. Non devono avere più di 70 anni e la malattia dev’essere a uno stadio avanzato. Dei 250 interventi la media di netto miglioramento è del 50-60%, il che vuol dire che in alcuni pazienti è dell’80%, in altri molto meno”. Si tratta, inoltre, di un intervento molto lungo che occupa la sala operatoria tutta una giornata. Prevede, infatti, il posizionamento chirurgico bilaterale di un sottile elettrocatetere all’interno del cervello che viene collegato a un piccolo dispositivo chiamato neurostimolatore, impiantato sottocute nella regione toracica o addominale. Il neurostimolatore può durare da tre a nove anni, poi viene sostituito.

Su Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.