Ieri mattina ho sostenuto la visita medico sportiva e, nonostante i miei incubi da giovane-vecchio è andato tutto bene. Anzi, dirò di più, è andata talmente bene che i complimenti della dottoressa mentre pedalavo in mutande su una cyclette caricata a pallettoni, salgono per direttissima al secondo posto tra i complimenti più belli ricevuti negli ultimi due anni (al primo ci sono le fusa della mia gatta).
Come il mio compare di diario non perde occasione per lamentarsi di se stesso, della sua panza e della decisione di iniziare a correre, io non posso esimermi dal principiare maledicendo con tutte le energie disponibili nel mio corpo, ogni fibra vitale che compone l’essere dell’ormai odiato Agafan. Perché non gli basta avermi costretto a bestemmiare ogni settimana per trovare qualcosa con cui redigere un diario che non volevo redigere, ma in più, a causa del suo lassismo, della sua poca forza di volontà, del suo sadico desiderio di voler per forza parlare di qualcosa per il solo gusto di schernirla (e così schernire implicitamente anche me, che volevo soltanto correre per i fatti miei senza coinvolgere nessuno), mi tocca invocare in maniera supplementare tutti santi del paradiso per trovare un argomento che sia quantomeno interessante per quei pochi che hanno deciso di seguirci. Non dico illuminante eh, che di illuminante qui c’è solo il mio giramento di palle, ma almeno che riesca a bilanciare i deliri del mio sodale e abbia un’attinenza anche minima con la preparazione che “stiamo” facendo e che vi avevamo promesso mesi fa. Sfogo a parte – sfogo che vi assicuro entro marzo finirà in tragedia, perché tanto lo so dove vuole andare a parare il mio collega con il suo ultimo post, e cioè non correrla nemmeno sta stramaledetta gara- ieri mattina ho sostenuto con vibrante successo la visita medico sportiva.
E che c’è di strano, direte voi? Eh, mica era così scontato, rispondo io.
Intanto non facevo un elettrocardiogramma dal 1998 e, visto come ho strapazzato il mio cuore in questi anni (tra stress, tachicardie da ansia, tanto alcool e grassi a volontà) mica era così scontato che ce la facessi a rimetterlo nuovamente in riga. E poi, all’ultima visita medica sportiva, quando avevo 18 anni, dopo l’elettrocardiogramma sotto sforzo mi chiesero ulteriori accertamenti e mi obbligarono a stare 24 ore con una macchinetta che registrava i battiti del mio cuore. Ricordo che fu umiliante, oltre che abbastanza spaventoso. Già mi vedevo per terra, su un campo da calcio, con la mano sul cuore come Julian Ross, oppure collassato mentre limono la fidanzatina dell’epoca, esattamente come il malato di cuore di De André (con tutti i traumi che la cosa avrebbe potuto portare, non tanto a me che comunque sarei morto, ma per la tipa e per la sua futura voglia di limonare. Anche perché una lingua in rigor mortis non dev’essere un bello spettacolo).
E poi, francamente, io mica ancora l’ho capito se riuscirò a correre così tanto senza morire d’infarto in qualche via milanese. Cioè corro, corro tanto, ma alla fine i dubbi restano. Da giorni, ad esempio, mi immagino agonizzante in mezzo al fettucciato, in piena gara, con una mano che cerca di afferrare un traguardo lontano presumibilmente ancora 20 km, poi calpestato e ridotto a brandelli dalla folla stramilanina e infine raccolto e buttato in un bidone dagli spazzini che si occupano di ripulire dalla monnezza nel dopo gara.
Insomma, con tutte queste paure nella testa, ieri mattina mi sono recato al centro di Medicina Sportiva Cozzi in viale Tunisia per sostenere suddetta visita (per chi non lo sapesse, per partecipare a competizioni su distanze oltre i 10 km è necessario avere un certificato di idoneità agonistica). Dopo aver fatto l’accettazione e pagato quanto dovevo, vengo chiamato dalla dottoressa (persino un po’ in anticipo) per iniziare le pratiche di rito. Iniziamo con l’esame delle urine, che passo senza difficoltà visto che alla visita ci sono andato in moto, faceva un freddo becco e avevo la vescica in preda agli spasmi. Poi è iniziata la visita vera e propria, in cui prima di tutto ho elencato i miei infortuni passati (decisamente tanti, tra calcio e moto), poi mi hanno misurato la vista (10/10 e ciao belli) e infine sono stato sottoposto alla misurazione della pressione (perfetta) e alla presa di peso e altezza. Qui, la soddisfazione di essere dimagrito (69 kg, oltre 4 kg da ottobre) è stata resa meno gioiosa dal fatto che la misurazione dell’altezza ha stabilito in maniera inequivocabile (l’ho fatta ripetere per ben due volte) che sono alto solo 174 cm, un centimetro in meno di quello che credevo. E vabbè.
Poi, dopo aver analizzato la postura e aver rilevato che la mia fascite al tallone può essere derivata dal fatto che ho una caviglia sderenata e con un chiodo piantato nel malleolo tibiale, iniziamo con l’elettrocardiogramma a riposo. Chiudo gli occhi e respiro tranquillo, dopo qualche secondo la dottoressa rileva che ho dei battiti regolarissimi e anche molto bassi, intorno ai 50/55 bpm. La cosa mi rasserena e affronto lo spirometro con rinnovato vigore. Soffio come un dannato dentro ‘sto tubo e anche qui pare andare tutto bene: vedo delle curve nel monitor che paiono regolari, la dottoressa annuisce e non dice nulla. La interpreto positivamente: ho ancora due polmoni, ed entrambi sembrano essere funzionanti.
Un attimo di chiacchiere e poi arriva il momento temuto, quello dell’esame sotto sforzo. Ai miei tempi ricordo che c’erano i gradoni ma la dottoressa mi spiega che oggi si fanno fare solo ai bambini, gli adulti invece usano la cyclette. Prima di iniziare mi propone di rivestirmi e di pedalare con jeans e scarpe, ma io declino e decido di restare in mutande che i pantaloni sono stretti e voglio pedalare in libertà. Le scarpe però sono obbligato a metterle, per cui, sulla cyclette ci salgo a torso nudo, in mutande bianche a strisce rosse e con delle Vans alte di pelle che mi fanno somigliare a uno di quei frequentatori di rave che una volta finita la festa, li ritrovi a vagare per strada in preda alla mescalina.
E insomma, inizio a pedalare. E qui succede l’inverosimile, ossia che quello che credevo di essere, e cioè un povero debosciato con un corpo ormai sul viale del tramonto, sparisce per lasciare posto a quello che senza dubbio alcuno si può definire un atleta. Non vi racconto come è andata, vi cito solo le parole del medico, ovviamente riportate testuali.
“Dopo i primi due minuti il battito è ancora molto basso. Si vede che è allenato”
“Ma la resistenza è inserita? Non mi spiego come riesca a pedalare così tranquillo. Lei non ha delle gambe, ha due querce secolari”
“Non è possibile. Lei va oltre ogni logica medica, non ho mai visto nulla di simile. Lei non è umano, lei viene da Krypton”
“Io a questo punto non so che fare. Forse devo consultarmi con un collega. Forse meglio un elettricista: se ora collegassimo la cyclette alla rete elettrica potremmo illuminare tutta Milano”
“Ommioddio, il recupero è spaventosamente rapido, lei non sa cosa sia la fatica. Kal-El, posso darti del tu? Portami via, andiamo lontano. Scappiamo a bordo di questa cyclette.”
Ok, vabbè, forse ho romanzato un po’. Non credo che la dottoressa mi abbia mai chiamato Kal-El, fatto sta che sono abile, carta canta: per un anno da ieri, potrò definirmi un fottuto atleta.
Ps: Il Garmin, in base alle mie ultime prestazioni prevede per la mezza maratona un tempo di 1:44:11. In pratica una merda. Farò ricredere anche lui.