L’ultima cosa bella sulla faccia della terra di Michael Bible incanta per la poesia intrisa di dolore e la semplicità con cui è esposta senza alcun fronzolo, senza alcun artificio. Alcune parole scelte per la simbolicità, oltre che per il significato, funzionano da pietre magiche che comunicano con precise sinapsi che rendono il racconto a più strati di senso e di profondità.
L’ultima cosa bella sulla faccia della terra di Michael Bible
C’è una cosa di cui la letteratura americana, raccontandocela, non ci sazierà mai abbastanza: la provincia americana. I luoghi dimenticati da Dio, troppo lontani anche dalle campagne elettorali democratiche o repubblicane, i luoghi remoti costruiti su acquitrini o nel mezzo delle due coste, insomma tutta quella grande parte di suolo americano lontana dall’immagine vincente e proiettata verso il futuro delle grandi città sulla costa.
I luoghi remoti da sempre hanno dato luce a grandi capolavori, pensiamo ovviamente a Faulkner e Brautigan, ma più recentemente a Jesmin Ward, solo per limitarci a qualche esempio.
In questo caso ci troviamo di fronte ad un altro grande libro che si inserisce sulla quella scia: L’ultima cosa bella sulla faccia della terra di Michael Bible.
Scrittore giovanissimo di cui poco si sa, Bible ha dato alla stampe nel 2020, edito da Adelphi in questi giorni, questo splendido romanzo corale e insieme intimo che colpisce da subito per l’immediatezza e la semplicità. Colpisce come colpiscono i grandi autori appena citati, per la capacità di tessere un racconto che non si coglie mai fino in fondo dove andrà ad aprirsi ulteriormente. Contemporaneamente Bible ci lascia entrare in intimità coi suoi personaggi, tanto da vivere quasi fisicamente i conflitti interiori che li attraversano.
Tutto parte da Harmony, una cittadina nel Sud degli Stati Uniti, dove il tempo passa lasciando che la vita rimanga uguale a sé stessa. Il gruppo di giovani da cui si dipana la storia principale raccontata da diversi protagonisti lo troviamo già in là con gli anni e dopo aver abbandonato definitivamente l’idea di una vita luminosa ed interessante.
Il focus sulla città è essenziale, scarno, lapidario, per questo appare cinematografico nel suo imporsi con forza attraverso immagini nella mente di chi legge. Ma è un’attesa, qualcosa deve succedere e quel qualcosa non tarda ad arrivare poche pagine dopo.
Poesia intrisa di dolore
Iggy, un ragazzo strampalato dalle esperienze più disparate, con una tanica nascosta nei vestiti e in una mano un cerino avanza verso il centro della chiesa; quando qualcuno si accorge della follia che ha in mente è troppo tardi. La chiesa prende fuoco, nel rogo muoiono venticinque fedeli: la tragedia è superata soltanto dallo sbigottimento per la situazione in sé.
Diciotto anni più tardi gli abitanti di Harmony ancora si portano dentro quel lutto, ancora – come un antico coro – si interrogano e commentano l’accaduto. La loro versione si alterna a quella di altre figure direttamente coinvolte o appena sfiorate dalla tragedia, mentre su tutto si impone, ipnotico e straziante, il racconto del colpevole, rinchiuso nel braccio della morte.
Ora che l’esecuzione si avvicina, a Iggy resta solo il rifugio nel sogno – o nel ricordo – di un’altra vita, di mille altre vite. Da dove è scaturita quella decisione estrema e inconsulta? Che cosa gli ha sconvolto la mente? Gli antidolorifici che sniffava, l’alcol e l’eroina? L’amore “selvaggio, cosmico e strano” per Cleo, o quello per Paul, l’amico scomparso “come un temporale che passa sopra la campagna e si dilegua in un batter d’occhio”? O piuttosto quel dolore segreto, quel tedio insopportabile, quello sgomento di fronte a un universo infettato da un oscuro morbo di cui solo loro tre sembravano avere consapevolezza?
Quello che davvero incanta di questo romanzo è la poesia intrisa di dolore e la semplicità con cui è esposta senza alcun fronzolo, senza alcun artificio. Alcune parole scelte per la simbolicità, oltre che per il significato, funzionano da pietre magiche che comunicano con precise sinapsi che rendono il racconto a più strati di senso e di profondità.
L’ultima cosa bella sulla faccia della terra è davvero un caso letterario importante nel suo genere, che incuriosisce sulle possibilità future di uno scrittore ancora da conoscere e difficile da inquadrare.
Michael Bible – L’ultima cosa bella sulla faccia della terra – Adelphi
Traduzione: Martina Testa