Abbiamo intervistato Fabian Negrin, autore e illustratore, che, oltre a raccontarci di sé e del suo lavoro, ci ha regalato un’anteprima e una chicca. Godetevi le sue ispirate parole: per me oggi lo scarto dirimente è nel sapere disegnare veramente, oppure non saperlo fare, la Patria, la Heimat, si situa lì, nel Disegno, è in quella terra che si cerca di piantare radici, il luogo dove si attinge la propria linfa.
Mai avremmo immaginato qualche anno fa, quando abbiamo scoperto il mondo che ruota attorno alla letteratura per l’infanzia, di avere l’onore di intervistare un celebre autore e illustratore del calibro di Fabian Negrin.
Lo abbiamo incontrato più volte: nelle discussioni in Università, nei manuali, alla Bologna Children’s Book Fair, in libreria e in biblioteca, e in ognuna di queste circostanze è emerso il lato umano e sensibile di questo artista.
Ecco i titoli che abbiamo recensito (fino ad ora): Frida e Diego. Una favola messicana, C’era una volta un cacciatore, Le amiche che vorresti e dove trovarle, In bocca al lupo, Come? Cosa?
Iniziamo con una domanda per rompere il ghiaccio: abbiamo sbirciato qua e là la sua biografia e sappiamo che è dal 1989 che lei svolge il suo lavoro di illustratore e scrittore di libri per ragazzi; vuole raccontarci come è avvenuto il suo incontro con il mondo della letteratura per l’infanzia?
E’ il 1995 l’anno in cui ho iniziato a illustrare pensando ai bambini, realizzai cinque tavole per la Mostra degli Illustratori della Fiera di Bologna dove raccontavo in immagini Cappuccetto Rosso (cinque tavole che diversi anni dopo sono diventate il nocciolo del mio libro In bocca al lupo). Inviai fotocopie a colori (a quel tempo si usavano) di quei disegni anche alla Salani Editore come portfolio di quello che facevo e la mitica editor Donatella Ziliotto mi chiamò e mi diede un testo da illustrare, L’uomo che sapeva contare, che è il mio primo libro illustrato (e che è ancora in libreria). Poi iniziai a lavorare con Francesca Lazzarato (l’altra grande editor del settore) alla Mondadori. La frequentazione de Le Due Grandi Dame dell’editoria dell’epoca è stata fondamentale per intendere il lavoro all’interno della letteratura per l’infanzia come qualcosa di altissimo, senza limiti e fondamentalmente sovversivo.
Sappiamo inoltre che è nato in Argentina e ha completato gli studi in Messico. In che modo il suo bagaglio culturale incide sulla sua produzione letteraria?
L’avere vissuto in tre paesi diversi, ognuno per molti anni, ha fatto di me una specie di miscela, forse senza i legami fortissimi che congiungono qualcuno che nasce, vive e muore nello stesso posto. Milano è il luogo dove sono stato più tempo, è in quella città che ho imparato il mestiere di illustratore, sia nell’ambito ‘per ragazzi’ di cui si parlava sopra, che nelle decine di riviste che a Milano hanno le loro redazioni. Arrivavo dal Messico dove già lavoravo, ma la ‘professionalizzazione’ ancora non mi apparteneva. E’ in tutti quegli anni a Milano (dovendo produrre un gran numero di illustrazioni, in poco tempo, che dovevano essere efficaci e pertinenti coi testi giornalistici) che ho fatto la mia palestra.
Quando tornavo in Argentina mi dicevano che avevo accento italiano, in Messico avevo accento argentino e in Italia si sente la mia pronuncia latina, e per le influenze penso sia uguale: io non riesco a sentirle, al massimo è qualcuno da fuori che (se non si ha degli stereotipi) potrà notarle in quello che faccio. Poi, certamente, un libro come Frida e Diego (su Kalho e Rivera) probabilmente non lo avrei fatto senza essere vissuto e aver studiato in Città del Messico.
A questo proposito mi viene in mente che una volta era più evidente l’esistenza di scuole nazionali dentro l’illustrazione: quelli dell’Est Europa erano diversi da quelli dell’Ovest, i coreani avevano certe somiglianze fra loro, così come i fumettisti argentini o gli illustratori iraniani, ecc. Ora mi sembra che questo stia sparendo, o sia più sfumato, forse per la facilità con la quale circolano le immagini, forse perché c’è una mondializzazione anche nell’editoria e una certa omologazione e appiattimento. Forse ci si distingue più in termini di ‘stili’ che si ‘seguono’ e dunque più che influenze geografiche vedo ‘mode’, qualche anno fa erano decine di cloni di Marc Boutavant, oggi centinaia di piccole Isabelle Arsenault a riempire le librerie…
Per me oggi lo scarto dirimente è nel sapere disegnare veramente, oppure non saperlo fare, la Patria, la Heimat, si situa lì, nel Disegno, è in quella terra che si cerca di piantare radici, il luogo dove si attinge la propria linfa.
Se pensiamo ai testi in cui lei cura sia l’apparato verbale sia quello iconico notiamo la sua capacità di proporre storie mai banali ma che anzi mostrano al lettore scenari possibili. Da cosa nascono le sue storie? C’è forse un luogo o un tempo particolari che ispirano i suoi libri?
Non si sa da dove arrivano le storie (o le immagini) e credo sia un bene conservare questo mistero. Potrei dire che diverse ‘idee’ mi vengono quando vado a dormire, o quando di notte non riesco a dormire. Credo che in quel momento le macchine del corpo allentino la presa sulla coscienza e allora si riesca a catturare ‘qualcosa’ che prima era invisibile o che non riuscivamo a sentire e ascoltare.
Per lo stesso motivo se sono in un periodo di vacanze le idee narrative o visive arrivano più frequenti, almeno una volta al giorno, anzi, ‘una alla notte’. A volte è il viaggio in treno che fa partorire un nocciolo narrativo, Come? Cosa? e Favole al telefonino, ad esempio, sono iniziate così. Forse è il movimento del treno che ha una relazione col sonno? Boh. Più di questo non so.
In altre opere, invece, viene chiamato a illustrare delle storie scritte da altri. Quali sono i criteri da lei scelti per illustrare un libro piuttosto che un altro?
C’è un ambito del lavoro dove il criterio è solo economico e professionale: se il compenso è consono al mio compito, la casa editrice/rivista/giornale mi piace e il testo che mi si propone è valido, accetto il lavoro. Ovviamente se non sto già facendo troppe altre cose. In questa sfera non sono io che scelgo il testo, ma mi viene proposto da un editore che ha deciso di pubblicarlo. Quando me lo propone un autore che non ha ancora trovato un editore dico di no.
C’è un secondo ambito, ad esempio nella collana Pulci nell’orecchio di Orecchio Acerbo che curo personalmente, dove (tranne in un paio di casi) sono io che trovo i testi e li propongo all’editore (che li può approvare oppure no). Questo succede anche con altri editori dove il mio, inizialmente, è un lavoro più da editor, o da cercatore-di-storie-da-illustrare. Questi testi sorgono dalle mie letture e l’incontro col racconto giusto è piuttosto fisico, mi sconvolge, mi può far piangere, c’è un’attrazione che si avvicina all’esperienza amorosa. Questi racconti non li scelgo perchè mi suggeriscono immagini o scene da illustrare (anzi, a volte quando devo illustrarli non so bene cosa disegnare), direi che si tratta di un’attrazione esclusivamente letteraria. Se questo fascino non scatta il testo non è per me.
Il 28 Ottobre 2020 uscirà in libreria “Alfabetiere delle fiabe” edito da Giunti. Non possiamo nascondere la trepidante attesa e le alte aspettative che sono nate dopo aver assaporato alcune tavole in anteprima. Ma vorremmo di più. Ci può dare qualche altra anticipazione in esclusiva?
Cappuccetto rosso
Marciava nel bosco Cappuccetto rosso
quando trovò il lupo che rosicchiava un osso.
“Dove vai, bambina? Cos’è questa fretta?”
“Porto una torta alla nonna che aspetta.”
“Prendi la strada a destra, è la più corta.”
Non era vero! Era più lunga e storta.
Così lui arrivò per primo dalla nonna
e la mangiò in un morso, povera donna.
Poi si mise i suoi vestiti e andò a letto.
Arrivò Cappuccetto e notò un difetto:
“Che orecchie grandi che hai, cara nonnina!”
“È per sentirti meglio, dolce bambina.”
“E che occhi grandi, sembri un’indovina!”
“È per vederti meglio, tenera ragazzina.”
“E che denti grandi che hai, sembri un coyote!”
“È per mangiarti meglio, appetitosa nipote!”
E si pappò Cappuccetto in un solo boccone
senza lasciar fuori un singolo bottone.
Per fortuna un cacciatore che da lì passava
aveva sentito tutto e lesto col fucile sparava.
Uccise PUM! il lupo cattivo e dalla grossa pancia
uscirono nonna e bambina, un coniglio e una arancia.
Cappuccetto rosso tornò a casa contenta
e le successive volte stette un po’ più attenta.
Più o meno negli stessi giorni esce in libreria l’abo “Il frutto del mio seno” per Donzelli editore, una riproposizione della Natività in stile postimpressionista (Gauguin per primo, ma anche Odilon Redon e una citazione di Jacobus Hendrik Pierneef nei risguardi) che ha un finale diverso dalla Tradizione. Ecco un’immagine realizzata per questo progetto che non comparirà nel libro:
Chiudiamo con una domanda scomoda: qual è il libro di Fabian Negrin preferito da Fabian Negrin, e perché?
Alfabetiere delle fiabe con Giunti Editore, credo che sia letterariamente e dal punto di vista del disegno il mio libro più maturo. È inoltre complessa l’integrazione fra le parole in rima, le illustrazioni e il concetto generale di un alfabetiere che contiene le fiabe più conosciute e alcune dei topoi come L’Orco, Il Lupo Cattivo… Dalla copertina fino alla quarta passando per ogni pagina c’è un impegno, mio e della casa editrice, per dare il massimo.
I Libri di Fabian Negrin su IBS
I Libri di Fabian Negrin su La Feltrinelli
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