Ecco alcune citazioni (leggi la nostra recensione) da La riva delle Sirti di Julien Gracq (leggi altre recensioni).
Acquista su AmazonNell’assenza d’ogni punto di riferimento visibile, sentivo sorgere in me quella leggera e progressiva atonia del senso dell’orientamento e della distanza, che ci immobilizza, prima d’ogni altro indizio, come lo stordimento precursore d’una malattia nel mezzo d’una strada sulla quale ci sentiamo perduti. Su quella terra sprofondata in un sonno senza sogni, lo scintillare enorme e stupefacente delle stelle scorreva d’ogni parte, sminuendola come una marea, esasperando l’udito che si ostinava a coglierne un crepitio come di scintille azzurre e secche, così come tendiamo nostro malgrado l’orecchio al mare intravisto ad una enorme distanza.
Dovevo rendermi conto solo molto più tardi di quel privilegio che essa aveva di rendersi immediatamente inseparabile da un paesaggio o da un oggetto, che la sua sola presenza sembrava aprire nell’attesa della liberazione d’una loro aspirazione intima, riducendoli ed esaltandoli al tempo stesso alla parte più significativa di attributi.
[…] C’è un colmo d’inerzia, che tiene da tre secoli immobile questa rovina, quella stessa forza d’inerzia che altrove scatena valanghe. Ed è questa la ragione per cui io vivo qui facendo il minimo rumore possibile, trattenendo il fiato, facendo di questa conchiglia il letto della mia sonnolenta vita di piccolo burocrate che ti scandalizza tanto. […] Quello che ti rimprovero è di non essere abbastanza umile da rifiutare i sogni al sonno di questa pietre… e sono sogni violenti… io sono diventato vecchio ormai, e ho imparato cosa vuol dire morire: è una cosa difficile e lunga, e che richiede aiuto e compiacenza. Voglio dirti questo, Aldo: tutte le cose a questo mondo vengono uccise due volte: una prima volta nella funzione, una seconda nel segno; una volta in ciò che le rende utili, e un’altra in quello che continuano a desiderare per mezzo del nostro animo. Non ti rimprovero altro se non la tua compiacenza a certe suggestione mortali”.
E mi disgustavo a poco a poco d’una vita senza incidenti e senza febbre. Vanessa disseccava i miei soliti piaceri, e mi risvegliava a un sottile disincanto: mi apriva prospettive desertiche, che mi invadevano l’animo a macchie e a placche, come una lebbra insidiosa.
Vanessa, al mio fianco, riposava come svuotata del suo sangue, la testa falciata da un sonno senza sogni, scosciata come una puerpera, faceva incurvare il letto appesantito. Essa era la fioritura stessa germinata alla fine di quella marcescenza e da quella fermentazione stagnante: la bolla d’aria che si raccoglieva, si scollava dal fondo, cercava la libera atmosfera in uno sbadiglio mortale, e rendeva l’anima sua esasperata e chiusa in uno di quegli schiocchi viscosi che fanno sulla superficie delle paludi come un crepitar velenoso di baci.