Racconto di un’esperienza tecnologica tragicomica. Non c’è una morale e non si può ricavare nulla, trattasi semplicemente di un’esperienza che ha trasformato un sogno in un incubo in un batter d’occhi, quelli che non credevano a se stessi.
Realizzazione di un sogno
Vorrei raccontare un fatto capitatomi qualche settimane fa, senza chissà quali pretese. Faccio però prima un passo indietro. Io sono molto appassionato di tennis, mio cugino praticamente fraterno pure. Nel mio piccolo sono riuscito a vedere tennis dal vivo a Roma, abbastanza semplice, ma sono arrivato anche fino a New York, basando il mio primo volo oltreoceano sul desiderio di assistere ad uno slam e solo di conseguenza sulla visita alla città. Questo per far capire dove può arrivare la malattia di una passione: portare un individuo terrorizzato dall’aereo a volare fino a New York per la prima volta, una spinta davvero portentosa.
Con mio cugino (che vive a mille chilometri di distanza e con cui ci siamo trovati a Roma per assistere alle partite degli Internazionali) abbiamo spesso immaginato di andare a Parigi ad assistere al Roland Garros. Il problema è che ci hanno sempre spacciato l’acquisto dei biglietti come qualcosa di difficoltoso, non bastando mettersi su internet e cliccare.
Quest’anno, tramite un amico, siamo riusciti a intrufolarci nel sistema, abbiamo trovato il modo di realizzare un sogno adulto, che però come tutti i sogni ha un che di fanciullesco. Così sono riuscito a procurarmi i biglietti per il 2 giugno per me, mio cugino e un altro mio amico. Giubilo, emozione, salti mortali mentali, telefonate trafelate per congratularci, darci idealmente di gomito. Insomma, tagliare per una volta il traguardo contro pronostico.
Lasciamo perdere il dubbio che a fine vicenda mi è venuto, cioè che prendere questi biglietti possa non essere così complicato. Di certo però il sistema clientelare utilizzato ci ha dato maggiore sicurezza di successo.
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Dramma di un sogno infranto
Arriviamo al punto. In una telefonata con il mio amico gli inviai in diretta il suo biglietto tramite app, perché io la tecnologia la affronto a testa alta, mi fa una paura fottuta ma, potendomi battere dal divano, sono propenso a gettarmi nella battaglia. In quel caso tutto filò liscio, d’altronde non si tratta di un’operazione particolarmente complicata, non vorrei vantarmi davvero del nulla. Cioè, non è che proprio non vorrei, mi piace farlo, ma a questo giro ve lo risparmio.
Dopo qualche giorno, ennesima telefonata di inebriata euforia con mio cugino e stessa richiesta da parte sua: quella di inviargli il biglietto via mail. Ci penso io, te lo invio in diretta al telefono, mentre parliamo sfrutto il potere delle app.
Inviato, ti è arrivato? Ah sì, eccolo. Aspetta, non capisco, c’è qualcosa che non quadra, qui dice che l’ho messo in vendita; Dario, ci sei, dimmi qualcosa. Sono pietrificato.
Mi getto a capofitto sul sito dal computer ed in effetti il biglietto risulta in vendita. Contatto al volo mia cugina, che vive a Parigi, le fornisco il numero telefonico e le intimo di fermare questa pazzia. In tutto saranno passati dieci minuti al massimo, eppure mia cugina mi dice che non c’è niente da fare, il biglietto è stato rivenduto.
Dramma vero. Il sogno che la tecnologia aveva reso possibile è stato infranto dalla tecnologia stessa (e, credo, dalla mia manualità di babbuino). Quel che hanno detto da Parigi è che ci sarebbe stata un’ultima possibilità il 4 maggio, avrei potuto provare a prenderne un altro, ma chissà per quale giorno e quale campo. Non ho dormito per due notti, per il resto ho passato giornate a crucciarmi, a maledirmi, a maledire la tecnologia, a chiedermi quale fosse il senso di tutto ciò. Perché in teoria io ho, nell’ordine: inviato il biglietto, cliccato metti in vendita e dato conferma. Mi pareva una follia, un’impossibilità resa concreta da un sistema malato. Mi sono sentito in colpa come raramente mi è accaduto nella vita.
Naturalmente la soluzione l’avevo trovata: cedere il mio biglietto, se fosse stato possibile modificare il nome, a lui e sfruttare il biglietto aereo già acquistato per girare un po’ Parigi. Ma non ero sicuro di poter rinominare i biglietti e non l’ho fatto subito per timore di combinare altre stronzate. Mi è anche passato per la testa di metter in vendita anche gli altri due biglietti: giù lui, giù noi.
Fumosità di un successo
Alla fine sono riuscito a procurare un altro biglietto (non ne avanzavano molti) per lo stesso giorno e lo stesso campo, posti diversi ma a quel punto era davvero il meno. La cosa buffa è che tra me e il mio amico ci sarà chi ha acquistato quel dannato biglietto: razionalmente non posso dargli colpe, ma io ci litigherò per sfizio, per sfogo, per ripicca verso me stesso, per protesta contro la tecnologia.
Dunque sono stato fagocitato dalla velocità e dalla facilità che la tecnologia impone alle nostre vite, sono salito sulle montagne russe ed ho vomitato, ho assaggiato la carezza lieve e infida di un traguardo raggiunto con eccessiva semplicità. Perché la tecnologia ci offre grandi vantaggi, è indiscutibile, ma presenta trappole non solo palesi, o forse nascoste solo nelle pieghe dell’inadeguatezza di chi non sa stare al passo coi tempi. Di certo alla leggerezza della conquista ha fatto fronte la fumosità del successo, una gloria passeggera ha accompagnato una battaglia priva di sudore.