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Elezioni 2018 – Dedicato ai nati nel 2000 che questo 4 marzo non andranno a votare

I sondaggi dicono che il 70% dei neodiciottenni non andrà a votare. Male, dico io, anche se in fondo li capisco. Non c’è nulla di interessante in quello che dicono i politici oggi, ma soprattutto non c’è nulla di interessante nel modo in cui lo dicono: il loro linguaggio, i toni aggressivi ostentati nelle varie tribune politiche, se ci pensate bene, sono gli stessi che puoi trovare in un qualsiasi reality show. Tutto già visto, tutto noioso, tanto più che da Vespa e da Santoro mancano pure le fighe in bikini che litigano. Epperò…

I giovani se ne fottono

Ricordo ancora la prima volta che andai a votare, si trattava di una tornata di Comunali, era il 1999. Io ero residente a Bollate per cui, per me -comunista più per le parole che per i fatti- venne naturale votare per la lista capitanata da tale Giovanni Nizzola crociando però il simbolo del PCI. Si votava nella mia scuola media e, pur essendo passati solo cinque anni dal triennio delle secondarie, quei corridoi mi sembravano lontani anni luce dal mio presente di maturando. Avevo un po’ d’ansia, ricordo che in coda prima di entrare nell’aula preposta allo scopo, tenevo con una mano la carta d’identità già aperta e nell’altra la tessera elettorale, in modo da essere pronto a ogni richiesta dello scrutatore. C’erano una decina di persone davanti a me, ma io rimasi comunque così per tutto il tempo. Un vero babbo, in pratica.

Tralasciando i ricordi giovanili, mi è tornato alla mente il mio primo voto perché in questi giorni ho letto da qualche parte che tra i nati nel 2000, cioè i 18enni di oggi, solo il 30% affronterà la solitudine della cabina elettorale. Il restante 70%, invece, del voto e della politica in generale se ne fotte.

Io la notte prima di votare

E non perché disillusa o perché non si rispecchia in questa classe dirigente, o perché, come dicono i giornali, la parola “giovani” è pressoché assente in tutti i programmi elettorali, no. Il fatto è che proprio se ne fotte. È un dato triste, che fa pensare, e a poco vale il fatto che se si aumenta la forbice dei votanti allargandola fino ai 25enni, la percentuale degli astensionisti scende al 50%.

I perché di questa disaffezione

Le cause sono molteplici e per elencarle tutte dovremmo stare qui notti intere e affrontare trattati di sociologia, antropologia, psicologia e probabilmente pure cosmologia. Dalla disgregazione della famiglia tradizionale, all’iperstimolazione dei nuovi media, fino alla perdita drammatica del desiderio di comunicare con le parole -il tutto spolverato dal solito abuso di alcol, droghe e rave party tanto caro al TG4- i motivi per la disaffezione politica dei 2000 sono tanti e tutti sicuramente correlati. Ma se volessimo ridurre il campo d’azione al solo teatro della politica, ci accorgeremmo di un dato singolare: l’affluenza era più alta quando la politica era appannaggio solo di vecchi saggi, quelli che per intenderci apparivano nelle foto in bianco e nero come la crasi mostruosa tra Cacciari e Bertinotti, ma senza l’irresistibile fascino dell’occhialino piantato sul naso o l’austerità filosofica della barba fluente. La progressiva trasformazione della politica da cosa per pochi a cosa per tutti, che prese il via con la discesa in campo di Berlusconi (ma di cui si poteva già scorgere qualcosa nei politiconi di fine anni 80, Craxi in testa), l’ha trasformata in qualcosa di diverso, forse più vicina alle case e ai discorsi della gente, ma molto più lontana dalla cabina elettorale. Una politica spettacolarizzata, forse più facile da affrontare e per questo, però, anche più semplice da digerire e dimenticare. A dirlo non sono io, che come è noto tra gli amici fidati non capisco un cazzo,  ma i dati che fanno registrare dal 94 a oggi un calo costante delle affluenze (circa 10 punti percentuali). L’apice è previsto per queste politiche, che  tra le altre cose, visto come sono andate le ultime, sono anche parecchio, ma parecchio importanti.

Il mio consulente di Tecnocasa

Dalla demagogia al nulla

Tra le grosse innovazioni apportate dalla discesa in campo di Berlusconi, dicevamo, a parte le presunte collusioni con la mafia, le leggi ad personam, le epurazioni televisive e quant’altro, mi sento di mettere al primo posto la scelta ben precisa di sottomettere la politica al marketing, decisione senza dubbio vincente ma che, nel corso del tempo, ha dato il via libera a un progressivo quanto devastante abuso di demagogia. Parlare alla gente solo per slogan facilmente comprensibili, ma soprattutto, indirizzati allo stomaco e non al cervello, è stata la vera innovazione portata da Silvio. Una strategia che gli ha permesso di rivoluzionare il modo di comunicare (e amministrare) la cosa pubblica, ma che a lungo andare ha contribuito a renderla un teatrino sostanzialmente svuotato di valore, un’accozzaglia di frasi sconnesse con cui riempirsi la bocca per poi utilizzarle per sfogare ogni sorta di malcontento e frustrazione.

Salvini illustra le differenze tra uomo bianco e uomo nero

Negli ultimi dieci anni, questo fenomeno si è impossessato praticamente di tutte le parti politiche, da quelle che c’erano già a quelle nate da poco, ha preso il sopravvento su tutto, persino sui programmi elettorali, trasformando la politica, di tornata in tornata, nella più banale caricatura di se stessa. I messaggi facili, uniti all’utilizzo spesso selvaggio di casse di risonanza colossali come i social network hanno creato una spirale da cui non si salva nessuno. Se il federalismo bossiano ai tempi che furono era considerato una simpatica follia, ora siamo talmente assuefatti a un certo tipo di linguaggio, che sentire parlare di negri che è giusto che affondino coi loro barconi, è quasi del tutto naturale. Il problema della demagogia, e qui mi ricongiungo al perché i giovani oramai è giusto che se ne freghino, è che nel solleticare il tuo bisogno impellente di qualcosa, ti solleva dal fare qualsivoglia ragionamento. Ergo: se la risposta diventa più importante della domanda, tanto da corroderla e renderla inutile, è pacifico che il risultato sia una generica perdita di interesse.

E allora perché votare?

Per questo cari diciottenni, io vi capisco. Se il prossimo quattro marzo deciderete di passare la giornata a fare altro, io ve lo ripeto, vi capirò. La politica per voi, questa politica, non è altro che l’ennesimo pixel di informazione che passa attraverso le vostre vite, vi entusiasma quel tanto che basta, e poi se ne va. Perché dovreste votare? E soprattutto per chi? Le urla di Salvini sono aria più rarefatta di un ragionamento di Francesca Cipriani in piena crisi di fame all’Isola. Renzi e Berlusconi sono due facce della stessa identica medaglia, esattamente come Gianni Sperti e Karina Cascella che hanno costruito una carriera televisiva fingendo di litigare scambiandosi le parti sugli stessi, identici, immodificabili argomenti.  Grasso invece sembra quel bravissimo ragazzo con tutte le carte a posto ma che poi alla fine scopri che non sa scegliersi gli amici. E poi c’è Di Maio che vabbè… cristo santo è Di Maio e tanto basta. Eppure una cosa vorrei dirvela, non tanto per convincervi a cambiare idea, quanto per farvi vedere questa “storia del voto” in maniera diversa. Può sembrare strano, ma del giorno in cui votai per la prima volta io mi ricordo tutto, e non solo perché quell’anno avevo i capelli lunghi fino alle spalle -cosa peraltro mai più successa.

Karina  Sperti

Era il 1999, dicevamo, e non esistevano ancora gli smartphone, i primi cellulari erano delle baracche con cui passavi più tempo a “cercare campo” che a telefonare, e il web per il giovane medio era qualcosa di indefinito, lento e poco user friendly soprattutto per chi, fino a quel momento, per fare una semplice ricerca aveva come unico mezzo la biblioteca (o le enciclopedie prese a volumi con l’Euroclub). Avevo la carta d’identità in una mano e la tessera elettorale nell’altra come un pirla, è vero, ma ricordo anche che avevo dei jeans strappati e una camicia nera a maniche corte come quella di Billy Joe Armstrong in Basket Case. Ricordo che avevo paura, non tanto di sbagliare, ma del gesto in sé. Sapevo di stare per fare qualcosa di importante, di più grande di me, senza però rendermi appieno conto del perché lo stessi facendo. Ricordo che ero convinto del mio voto, forse più quella volta di tutte le altre a seguire. Insomma, quello che voglio dirvi è che l’ho fatto con tutta la forza dei miei diciott’anni ed è qualcosa che ancora ricordo con piacere. E forse è per questo che pur capendovi, io fossi in voi il 4 marzo, nonostante i vari Salvini, Renzi, Berlusconi e Di Maio, andrei a votare. Non importa a chi regalerete la vostra X -avete diciott’anni, sarete giustificati se il vostro voto sarà concettualmente buttato a caso- importa per chi lo farete. E cioè per voi, per quello che diventerete da grandi e anche per quel futuro 38enne che tra vent’anni si ricorderà di questo momento.

Ps: se però avete voglia di spendere qualche minuto e magari informarvi, non è certo un male. Niente Porta a Porta o chissaché, tranquilli: Vice ha realizzato una serie di video in collaborazione con lo youtuber Luis Sal in cui vengono spiegati, in maniera facile e rapida, i punti salienti dei programmi delle varie forze politiche: lo fa con un linguaggio divertente e nonostante tutto chiaro. Cliccate qui e dategli una guardata.

 

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