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#MarteGP, le emozioni del GP di Valencia (quando si potevano vivere in loco)

Ogni Gran Premio, vissuto sul posto almeno fino al 2019, aveva un sapore particolare, a seconda della nazione in cui ci si trovava e del contorno, ma quello di Valencia è sempre stato unico nel suo genere.

E il motivo è molto semplice: era l’ultimo della stagione. Il paddock tornava in Europa dopo il trittico/la quadrupla asiatica e alcune volte era l’occasione di parlare con i piloti già incoronati campioni del mondo. Giusto il Coronavirus ci voleva per non farmi andare a Valencia, tappa fissa da anni nel mio calendario, e assolutamente irrinunciabile. Per molte ragioni.

In primis perché mi faceva tornare in Spagna, terra a me molto cara dove risiede parte della mia anima. Tornarci è sempre motivo di festa, di riassaporare sia i sapori di casa, ma anche quella leggerezza tipica degli spagnoli che ti porta in un’altra dimensione. Andandoci ormai da molti anni poi la stessa Valencia mi dava la sensazione di essermi famigliare, con sempre gli stessi ristoranti ai soliti posti, le strade che ormai conosco bene e tutti i vari punti di riferimento.

Arrivare a Valencia era motivo di gioia, il giovedì. Sapendo che si lavorava all’ultimo Gran Premio, ce lo si godeva appieno e lo si gustava sapendo che stava per finire tutto, che da lì a breve sarebbe iniziato un lungo inverno ristoratore sì, ma senza paddock. Domenica era ufficialmente l’ultimo giorno dell’anno, per poi iniziare martedì un anno nuovo, in anticipo sul calendario solare, con già diverse coppie e colori. L’emozione positiva dell’ultimo GP però era sempre intrecciata alla malinconia. Perché nonostante la stanchezza si facesse sentire, si sapeva benissimo che sarebbero passati quattro (se non sei) mesi prima di calpestare un altro paddock, rivedere le stesse persone (o quasi) e avere a che fare direttamente con i piloti.

E dulcis in fundo, a Valencia si faceva festa davvero. La domenica sera, dove per un attimo tutti noi abitanti di questo paese immaginario ci toglievamo i panni da lavoro. In abiti civili a volte si faceva anche fatica a riconoscersi e quello forse era l’unico momento in cui il mondo della MotoGP si fermava. Nessuno era di fretta, non c’era nessuna agenda da seguire, si poteva fare un discorso completo senza frenesia, senza pensare già all’impegno successivo. Era il momento zero, prima che tutto ricominciasse, un’altra volta, da capo.

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