Sarahah app – Un’applicazione per inviare messaggi anonimi alle persone che fanno parte della community. Nata per permettere ai dipendenti di avere una valvola di sfogo contro i loro datori di lavoro, ora potrebbe essere la nuova frontiera del cyberbullismo
Sembrerebbe l’applicazione del momento. Quella da scaricare e provare subito perché guai a non dire la propria davanti ad un aperitivo, sia mai si rimanga indietro con le mode, che si sa il giudizio è dietro l’angolo, ma ben nascosto.Ecco allora che il nerdismo di Pokemon Go viene eliminato dagli schermi degli smartphones e rimpiazzato dall’illuminante Sarahah, che in arabo significa “onestà” ed è un’app progettata dal 29enne saudita Zain al Abidin Tawfiq lo scorso anno.
Inizialmente si trattava solo di un sito condiviso da una settantina di persone con il solo scopo di mandare messaggi in forma anonima, senza che il mittente venisse riconosciuto e il destinatario avesse possibilità di replica.
A che scopo? Sembrerebbe aziendale.
Permettere ai dipendenti di interagire con il proprio datore di lavoro, dire tutto quello che si pensa e avvalersi della facoltà di non metterci la faccia.
Ecco, questa è sostanzialmente la nuova tendenza spiegata a grandi linee. Peccato che stia degenerando notevolmente, come era prevedibile accadesse.
Da pochi ignoti siamo passati a migliaia di leoni da tastiera con macchia e paura di essere additati come infami, eroi dal commento facile, ma forti del fatto di rimanere protetti dietro uno schermo.
Ecco che i commenti sessisti impazzano. Razzisti anche.
Ecco che gli adolescenti se ne approfittano, come se il cyberbullismo non fosse già abbastanza alimentato.
Ecco che arrivano i giudizi con giudici improvvisati. Si scoprono vizi e viziati.
Si entra in un gioco infernale che nemmeno Dante avrebbe saputo inserire nei suoi gironi.
Ecco come iniziano le guerre, insinuando il dubbio. Non vedi neanche più di buon occhio la tua vicina.
Pensi che quella che ti fissa insistentemente sia una di quelle iene che digitano i tasti rabbiosamente contro di te.
Credi che anche il tuo terapeuta si sia rotto le palle delle tue nevrosi e voglia dirti qualcosa. Non posso pensare che se ne esca illesi da una cosa così.
Non riesco, non ce la faccio, perché perdonate il gioco di parole, sono una che ci mette la faccia sempre, mi piace andarci addosso alle parole. Belle, brutte, stampate o pronunciate che siano sono mie, ci tengo a presentarle con un nome e un cognome e soprattutto non temo il confronto.
Do sempre il diritto di replica, perché è cosa buona e giusta.
Credo anche nel detto “Molti nemici, molto onore”, ma questo gioco è un massacro inutile.
Ho scoperto che molti di quelli che l’avevano scaricata per curiosità, si sono tolti un paio di soddisfazioni, finendo per cancellarla dopo l’ennesimo messaggio hard.
O facendosi un sacco di paranoie per giudizi esterni, senza capo né coda.
Qui il divertimento non c’è.
Qui sono tutti con le spalle al muro e il viso coperto da rapinatore.
Qui non mi piacete, nemmeno con i complimenti.
Non saprei chi ringraziare o nel caso contrario ignorare.
Ecco perché “la voglio in faccia la verità, anche se è dura”. Cito Vasco, ma penso per me.