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Milano, lo Starbucks che non ti aspetti

starbucks milano
Milano.Piazza Cordusio. Esterno giorno. Parte così la sceneggiatura di questo film.
L’inquadratura ti mostra il traffico delle dieci del mattino nella metropoli meneghina e i tram che si incrociano, il semaforo che cerca di fermare inutilmente chi si butta lo stesso da un marciapiede all’altro, gente veloce, con lo sguardo dritto. La camera si sposta prima a sinistra e ti concede uno scorcio di Via Dante, poi scivola a destra e si ferma sulla facciata di uno stabile retrò, dal color sabbia, con una vecchia insegna dalla dicitura inequivocabile: “Poste”. Bei tempi quelli in cui si scrivevano le lettere.

Bei tempi quelli in cui si andava meno di fretta. Ma noi non abbiamo tempo da perdere, abbiamo aspettato anni questo momento. Abbiamo letto notizie fake, mezze fake, storpiate e poi, finalmente sono arrivate quelle vere su quello che è il motivo per il quale siamo qui oggi.
Ha aperto il primo Starbucks in Italia.
“E quindi?”, staranno pensando alcuni.
E quindi si va a bere un caffè.
E quindi si va a vedere com’è.
Si va perché l’ipocrisia non mi è mai piaciuta. Troppo comodo dire: “‘Ste americanate non mi avranno mai”.
Soprattutto se chi lo dice ha foto postate di vacanze negli States con tanto di bicchiere bianco in mano e sguardo perso verso l’infinito e oltre. Naturale soprattutto, non posato. Mi fanno morire quelli così.
“No, no. È una questione di principio.Con tutti i bar che abbiamo, dobbiamo fare la fila per un caffè che fa schifo?”.
“Figurati se aspetto fuori per una brioches che sa di plastica”.
“Tanto chiasso per non avere neanche l’insegna fuori verde, ti pare che entro in un posto così”.
Sai che c’è invece? Dovresti.
Dovresti metterti in fila ed aspettare che uno dei tanti addetti alla sicurezza ti saluti cordialmente e ti faccia oltrepassare la zona off-limits, prima di arrivare ad un “Buongiorno e ben arrivato” detto da uno dei tanti ragazzi in grembiule color nocciola che ti indica l’entrata.
Sicuramente ti verrà aperta la porta da un responsabile in completo scuro, fa tanto boutique di Montenapoleone, ma se lo merita.
E lì si aprirà un mondo che non ti aspetti.
Non è l’inferno bellezza, è solo una torrefazione elegante e fatta bene.
Se volevi un chiassoso Starbucks tra la 44th e la Madison a New York, beh, sei a più di 4mila miglia di distanza dal tuo desiderio.
Qui tutto è ordinato e ben organizzato, c’è sempre qualcuno che ti dice dove devi fare lo scontrino, che ti porta via il vassoio, che sistema le sedie, che è pronto a rispondere a ogni tipo di dubbio che ti si palesi in testa.
Macchiato? Con caramello? Piccolo, grande o medio?Mah!
Se entri con la tua amica, truccata, pettinata, occhialata, pronta per ordinare il famoso Frappuccino che forse non hai mai assaggiato, ma hai visto in mano alle star di Hollywood, sappi che dovrai ordinare qualcos’altro per fare la foto da mettere su Instagram.
E non fare il broncio. Non avrai nemmeno il bicchiere bianco con la fascetta di cartone per non scottarti e il tuo nome scritto male sopra.
Qui, i bicchieri sono neri e il tuo nome lo scrivono sullo scontrino che trovi con la tua ordinazione, qui lo sussurrano e non lo gridano come al mercato del pesce di Napoli.
Dovresti entrare solo per vedere quanto è grande la macchina tostatrice del caffè costruita a Cinisello Balsamo, in funzione h24, che macina una qualità diversa al giorno di caffè.
Vedere i banchi di marmo, la zona aperitivo, la bella scultura della sirena simbolo del marchio.
Eh, già… non è la Statua della Libertà, bensì una sirena.
Non c’è da nessun altra parte, non è sulle tazze, non è sui tovaglioli, non è nell’insegna anche perché l’intestazione dice “RESERVE ROASTERY”, il terzo per la precisione dopo Seattle e Shanghai.
E poi dovresti entrarci perché il dolce e il salato arriva direttamente dal forno di Princi, altro nome importante nella panificazione di Milano: brioches, pizzette, torte e stuzzichini sempre freschi con il sapore del made in Italy.
Lascia fuori i luoghi comuni, entra a farti un giro.
Vai dentro a bere un buon caffè, perché lo è davvero.
E se proprio avrai bisogno di una scena da film vista e rivista, di ordinare un bibitone super calorico dal nome incomprensibile e prendere delle ciambelle glassate trasudanti burro, presto sarai accontentato.
I prossimi tre Starbucks saranno come te li aspettavi tu.
File e lamentele comprese.
Piccola aggiunta del Direttore: Mi associo a Clara nel dare il benvenuto a Starbucks. In un paese dove i bar, soprattutto quelli vicino alla stazione, non ti danno uno straccio di wifi, ti negano la possibilità di ricaricare smartphone o laptop e, soprattutto, ti vietano di pagare con la carta perché “sai, c’abbiamo le commissioni” (e non è vero un cazzo: ogni banca offre agevolazioni crescenti all’uso del pos, quindi ditelo tranquillamente che il contante serve per fare nero), è giusto dare il benvenuto a una realtà tutta americana che forse ti farà pagare il caffè un filo di più, ma se non altro insegnerà a un bel po’ di esercenti come ci si deve comportare per migliorare il rapporto e la fidelizzazione con la clientela. 
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