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Ragazzi di Vita, Pier Paolo Pasolini

Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, una fotografia che risulta sia distaccata sia calda. Una borgata e le persone che la brulicano, vite difficili ma descritte senza indulgenza o accanimenti, bensì mostrate per quelle che sono, vite di esseri umani che fanno quel che possono per restare a galla. Un libro che non riesce proprio a perdere di attualità.

La sintesi di Ragazzi di vita è tutta qua: narra le giornate di alcuni ragazzi di borgata, tra i quali spicca il Riccetto che, comparendo in tutti i capitoli, fa da filo conduttore. La narrazione comprende diversi anni, così che i ragazzi al centro delle vicende compaiono con età differenti all’interno dei capitoli.
Ragazzi di vita colpisce fin dal principio, perché fin da subito ci fa calare nelle vicende di questi ragazzi che abitano i quartieri poveri della Roma del dopoguerra. Ed ecco un merito che salta immediatamente agli occhi: la capacità di raccontare persone senza introdurle o parlarne troppo, ma solo narrando le loro azioni. È quel che succede e come vi si muovono i personaggi a delinearli, nessun punto di vista privilegiato da parte dell’autore, come nessun giudizio morale. Eppure di azioni immorali ce ne sono eccome, ma quel che compiono questi protagonisti risulta persino naturale, in un ambiente come il loro, nella povertà in cui sono costretti, all’interno delle famiglie che li crescono, cos’altro potrebbero fare? Non viene da puntare il dito contro questi ragazzi che rubano, menano, ciondolano e vendono il proprio corpo, piuttosto a finire sotto accusa è la società e la politica che non se ne occupa e preoccupa. Anche se l’indignazione non sale per le lamentele dei personaggi, bensì per la situazione rappresentata, il libro riesce a far salire la rabbia senza far affiorare accuse sulle labbra dei protagonisti, dalle quali piuttosto esce una parolaccia.
Tutto questo scorrere di vita avviene all’interno di un contesto, un ambiente, un luogo che vengono magistralmente affrescati da Pasolini, senza troppe insistenze, qualche pennellata qua e là ed il luogo è bello che impresso nelle nostre menti, con la forza che solo chi sa scrivere sa imprimere. Desolazione e abbandono ai bordi della ricchezza.
I dialoghi sono tutti in romanesco, caratteristica che potrebbe risultare urtante forse, ma che permette all’autore di entrare ancora più nel cuore della vita che racconta, nelle dinamiche tra i personaggi, dando loro la voce più veritiera, ottenendo le giuste sfumature.
In tutta questa decadenza la donna è un essere che subisce. Non potrebbe essere altrimenti, dove mancano cultura e agio i deboli soccombono più del normale. Il campionario di donne che fanno capolino è disarmante, sono prostitute, madri percosse, figlie umiliate per gravidanze precoci. Uno stralcio scabroso in un panorama degradato.

Il libro procede per capitoli che raccontano vicende chiuse, non consequenziali, anche se i personaggi coinvolti alla fine sono più o meno sempre quelli, con il Riccetto a fare da collante. Dunque affresco senza romanzo? No, per nulla. Proprio nel Riccetto, che compare di capitolo in capitolo, osserviamo un processo di crescita, non solo anagrafica. All’inizio del libro il Riccetto si butta in acqua per salvare un uccello; alla fine del libro, sulle rive dello stesso fiume, il Riccetto sgattaiola via per non essere coinvolto nell’annegamento di un ragazzo che non può più evitare. Ecco dunque un ragazzo che si butta, incurante delle prese in giro, per un animaletto, ma non interviene per un essere umano. Il Riccetto della conclusione non è più il vagabondo dell’inizio, lavora come manovale, ha un’età maggiore. Cosa ha portato a questo cambiamento? L’imborghesimento (per quanto minimo viste le condizioni)? Il subentrare di qualcosa da perdere rispetto al non avere nulla? O semplicemente l’essere divenuto più adulto e aver perduto l’ingenuità del ragazzino? Non so dire cosa sia accaduto di preciso, o forse sono accadute tutte queste cose, tutti questi fattori giocano un ruolo. Fatto sta che il cambiamento è avvenuto, un percorso c’è stato.

La maestria di Pasolini ci regala una fotografia da un lato molto fredda e asettica, dall’altro piena di calore e di vita. Com’è possibile? Questa volta non sono le mie contraddizioni interne a farmi parlare, ma è il merito di un grande scrittore che sa farci guardare le vicende da una certa distanza senza però tagliarci fuori dai sentimenti.
Il libro, nell’anno di pubblicazione, dev’essere stato un pugno nello stomaco, uno stravolgimento dei canoni. Oggi è ancora così. Perché se è vero che di violenza e degrado leggiamo e vediamo molto spesso e, quindi, il libro non può sconvolgerci da questo punto di vista, è anche vero che la qualità della scrittura e la mancanza di accanimento sui particolari torbidi ci restituiscono un testo che oggi difficilmente leggeremmo altrimenti. Insomma, la differenza è che Ragazzi di vita è un libro scritto coi controcazzi, la qualità del testo permette un coinvolgimento di gran lunga meno morboso e meno banale.
Infine come non rimanere colpiti dall’attualità di ciò che viene narrato, oggi al posto di questi italiani minori troviamo stranieri, ma il succo non cambia.

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Profondità 87%
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Il voto di Agafan - 84%

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