Il Natale del 1833 di Mario Pomilio è un libro di riflessioni, di gioco tra finzione e realtà, di grandissimi temi e umanissime sofferenze. Un Alessandro Manzoni tra il lutto delle persone e quello dell’ispirazione, un grande scrittore protagonista dell’ardita costruzione di un autore sicuramente più modesto ma altrettanto certamente da non dimenticare.
Il Natale del 1833 è il giorno in cui Alesandro Manzoni perde la moglie Enrichetta. È anche il titolo dell’ultima lirica, rimasta largamente incompiuta, dello scrittore. Infine è il titolo del romanzo di Mario Pomilio, un libro che narra del subbuglio interiore vissuto da Manzoni a seguito dell’evento luttuoso.
Ancora una volta, dopo quel capolavoro che è Il Quinto Evangelio (qui la nostra recensione), Mario Pomilio torna a sfoderare doti di equilibrista tra realtà e finzione, non solo dei fatti, ma anche delle fonti. Infatti la narrazione è per larga parte affidata alle lettere mai scritte di Giulia Beccaria, madre di Alessandro, ad un’amica di famiglia. L’autore interviene qua e là per puntellare, sempre sulla scorta di una documentazione scarna nella realtà e copiosa nell’invenzione. Un triplo salto carpiato che cerca di immaginare il contrasto interiore di un uomo attraverso la teorizzazione di uno sguardo di madre. Ad una prima occhiata potrebbe sembrare un azzardo tra follia ed esercizio di stile, ma Mario Pomilio è scrittore di spessore e non elaborerebbe mai un piano di così poco conto.
Il fulcro del testo è il conflitto che si agita in Manzoni, ma naturalmente in linea teorica in tutti i credenti, tra la propria fede e la sofferenza umana. Va da sé che il riferimento al grande scrittore milanese è in parte il pretesto per un discorso più ampio, è l’occasione per la stesura di quello che può anche essere considerato come un saggio. Ma sbaglieremmo a considerare solo questo lato delle pagine. Se è vero che Mario Pomilio lavora profondamente di teoria, è altrettanto necessario notare quanto rimanga ancorato alla storia che sta narrando, quanto i riferimenti alle persone presenti nel racconto sia imprescindibile. Le sofferenze per la perdita sono quelle di uno straordinario scrittore e questo fatto comporta conseguenze sulle opere che Manzoni tenta di portare avanti dopo il lutto. Mario Pomilio teorizza ma su una base ben precisa, approfondisce gli argomenti ma all’interno del canovaccio scelto. Più di ogni mio tentativo, può la forza delle parole; nel passo seguente possiamo osservare quanto il riferimento ai sentimenti e ai pensieri in ballo siano ancorati all’anima di scrittore coinvolta, incapace di ritrovare la via della penna:
“… E invece Alessandro pretendeva di restare a mezza strada, esitava di continuo tra le incandescenze e i divieti. Ma è naturale: condannato alla fede, sentiva che la fede non si fa tradire nemmeno per una verità. E così di tanto fermento” conclude donna Giulia “non sono rimaste che poche strofe sassose e sterpose come letti di fiumi morti”. Ma la vecchia signora ha torto. Ci sono pagine fatte di parole non dette. E certi fallimenti non sono forse frammenti copiati dal nostro cuore? Il Natale del 1833, Mario Pomilio, Rusconi, 1983, p. 98
Abbiamo dunque un uomo molto fedele, quasi beffardamente riportato sulla via della fede dalla moglie scomparsa, che, nonostante le sue preghiere, perde la moglie malata in un giorno che avrebbe dovuto essere di festa, religiosa. Naturalmente è uomo troppo di spessore Manzoni ed autore troppo attento Mario Pomilio perché il contrasto tra fede e sofferenza si fermi al fatto personale. Il discorso si amplia fino a coinvolgere la sofferenza di tutti i deboli appartenenti alla razza umana, di tutti i perseguitati, di tutti coloro che hanno dovuto molto soffrire senza apparente ragione. Manzoni finisce per ritrovarsi ad un punto morto, in cui o deve negare la sua amata provvidenza divina o si trova costretto a criticarla. La via d’uscita sarà la sofferenza sulla croce del Signore stesso, ma assomiglia molto ad un’uscita di emergenza: imboccata all’ultimo e, per questo, davvero liberatoria ma con un grosso disastro alle spalle.
Si tratta di un libro non molto lungo ma incredibilmente denso. L’analisi di Mario Pomilio è serrata e senza esclusione di colpi. Il suo slalom tra realtà e finzione, tra documenti esistenti e carte che non hanno mai visto la luce, tra pensieri universali e sofferenze personali immaginate è straordinario. D’altronde la formula era stata sperimentata con immenso successo in un libro ben più impegnativo da questo punto di vista. Mario Pomilio ha poi una penna deliziosa che sa supportare idee e costruzioni mirabolanti.