L’uomo di Kiev
L’uomo di Kiev di Bernard Malamud
Tratto da una storia vera, ricamato dalla mano sapiente di Bernard Malamud, tutto a congiurare in una direzione: un risultato notevole. La trama è ridotta all’osso: Yakov Bok, ebreo tuttofare russo, viene lasciato dalla moglie e si trasferisce dalla campagna alla città, Kiev; in men che non si dica viene accusato dell’omicidio di un ragazzino russo. La maggior parte del libro si svolge in cella, dove Yakov viene rinchiuso in una lunghissima attesa del processo.
Incredibile come l’autore riesca a far scivolare via pagine che raccontano di un uomo in cella, eppure tanta è la sofferenza del protagonista quanto leggibile il racconto. Un libro che narra la colpa scolpita nella storia degli ebrei, la mirata ottusità incamerata nelle stanze del potere, la miseria umana di fronte alle vicende dei popoli, la solitudine personale che anela alla giustizia, la siderale lontananza divina.
L’attualità del capro espiatorio
Forse, in quest’epoca di scienza, non possiamo più accettare in toto le accuse contro questo disgraziato popolo, dobbiamo tuttavia domandarci quanta verità contengono, malgrado la nostra riluttanza a credere.
Le parole del religioso ortodosso che articolano l’accusa contro l’ebreo contengono il nucleo di un meccanismo che forse mai svanirà, rendendole di un’attualità ricorrente: nonostante la scienza dica il contrario, le accuse contro gli ebrei devono avere un fondamento. Lo sfruttamento da parte del potere della superstizione popolare, dell’ignoranza, delle difficoltà contro altri disgraziati è uno strumento di controllo, di distrazione, un veicolo di consenso che mantiene una freschezza intatta; al di là del fatto che in questa circostanza si tratti della croce degli ebrei, che ha un ruolo non di poco conto nelle pagine di Malamud.
Il capro espiatorio serve alle stanze governative per i propri giochi in grande, serve al popolo come valvola di sfogo, al di là di ogni ragionevole prova ed evidenza, al di là delle reali e facilmente appurabili colpe riconducibili ad altri soggetti che hanno il solo merito di non suscitare nessun interesse.
La solitudine della giustizia
Il caso e la storia avevano coinvolto Yakov Bok come non avrebbe mai creduto possibile. Il coinvolgimento, in un certo senso, era impersonale, ma la conseguenza, il suo dolore e la sua sofferenza, non lo erano. La sofferenza era personale, acuta e, a quanto ne sapeva Yakov, senza fine.
Il gioco storico e politico ha coinvolto Yakov a sua insaputa, essendo il tuttofare solo un pover’uomo in cerca di qualche soldo per migliorare la misera vita. Per quanto egli sia solo un capro espiatorio, le dinamiche siano più grandi di lui, la sofferenza di Yakov è tutta personale. Una sofferenza protratta in cella, attraverso un trattamento disumano, con in corpo l’attesa di un processo che tarda ogni oltre limite ad arrivare.
Le riflessioni solitarie nella cella, le pene del corpo, lo strazio della solitudine, tutto giocato sull’anima di un uomo che ha sempre vissuto nel timore della vita e che ora anela alla vita che voleva rifuggire. Eppure, con il tempo, con la resistenza, Yakov si scopre più forte del previsto, il suo senso di giustizia oltre ogni ragionevole dubbio. Rifiuta ogni possibile compromesso, addirittura arriva a considerare di poter essere utile al proprio popolo attraverso le decisioni prese, effettua un gesto, se non di riconciliazione, di riavvicinamento umano verso la moglie fedifraga: Yakov è un personaggio che evolve in cella. Lentamente, in un tempo sospeso, il protagonista soffre e trae consapevolezza dalla sofferenza, senza estinguere la sete di giustizia personale e non solo, riaffermando, o forse affermando per la prima volta, se stesso nel mondo.
Religione ed ebraismo
La crudele ironia del destino vede coinvolto un ebreo che si dichiara libero pensatore, che guarda al popolo ebraico come ad una zavorra, il loro dio come troppo lontano per essere adorato. L’accusa parla di omicidio a scopi rituali, proprio per chi si è smarcato dalla religione grazie alle poche letture.
La colpa di Yakov è sostanzialmente quella di generosità: l’aver salvato un russo antisemita e aver aiutato un ebreo in difficoltà lo mette nei guai e fornisce le pretestuose prove del proprio delitto. Le riflessioni sul dio lontano, sulla religiosità ebraica e cristiana, sul destino di un popolo che pare senza scampo, accompagnano le infinite giornate del prigioniero, un uomo che si vede costretto a riconsiderare tutto a causa delle circostanze giocate sulla propria pelle.
Un romanzo denso di significati, scritto in modo magistrale e capace di coinvolgere a più livelli.
Bernard Malamud – L’uomo di Kiev
Traduzione: Ida Omboni
L’uomo di Kiev su La Feltrinelli